Wikileaks e la verità sull’Afghanistan
Afghan War Logs è la più grande fuga di notizie della storia militare americana. 75mila documenti segreti sull’andamento della guerra in Afghanistan che parlano di civili morti e di cui non si è saputo nulla, di un’unità segreta incaricata di uccidere o fermare qualsiasi talebano anche senza processo, delle basi di partenza in Nevada dei droni non sempre precisi negli obiettivi, della collaborazione tra i servizi segreti pakistani e i talebani. Questo e molto di più fu svelato da WikiLeaks nel 2010, a sei anni dall’inizio del conflitto.
Pochi mesi prima della pubblicazione di questi documenti, l’organizzazione di Julian Assange aveva diffuso un memorandum riservato della Cia che non aveva fatto grande scalpore, eppure era importante perché spiegava le strategie da usare per scongiurare il rischio che l’opinione pubblica francese e tedesca si rivoltasse contro la guerra, chiedendo il ritiro dei loro militari. In quel periodo i due paesi europei avevano i contingenti più grandi in Afghanistan, dopo quelli di Stati Uniti e Inghilterra: un ritiro delle loro truppe sarebbe stato a dir poco problematico per il Pentagono. Uno dei fattori su cui la Cia faceva più affidamento era proprio l’indifferenza che questa guerra generava nella pubblica opinione occidentale. Di fatto giornali e televisione ne parlavano pochissimo. Dopo gli Afghan War Logs la situazione cambiò radicalmente. Grazie alla collaborazione del New York Times, Guardian e Der Spiegel, WikiLeaks aprì gli occhi al mondo intero su quanto stava accadendo, dando un’immagine devastante della guerra e del suo stato di fallimento in Afghanistan.
Il periodo considerato va dal gennaio 2004 al dicembre 2009, sia sotto l’amministrazione Bush che quella Obama per un totale di 92 mila rapporti compilati dai soldati dell’esercito americano, e la conclusione è amara: «Dopo aver speso 300 miliardi di dollari in Afghanistan, gli studenti coranici sono più forti ora di quanto non lo fossero nel 2001».
Dai documenti emerge, tra l’altro, che «il Pakistan, ostentatamente alleato degli Stati Uniti, ha permesso a funzionari dei suoi servizi segreti di incontrare direttamente i capi talebani in riunioni segrete per organizzare reti di gruppi militanti per combattere contro i soldati americani, e perfino per mettere a punto complotti per eliminare leader afghani». Ma c’è di più: nei documenti si legge che «l’intelligence pakistana lavorava al fianco di al Qaeda per “progettare attacchi” e “faceva il doppio gioco”». Lontano dai riflettori mediatici, scrive il New York Times, sia l’amministrazione guidata da George W. Bush, sia quella dell’attuale presidente Usa Barak Obama hanno accusato i servizi di intelligence pakistani di complicità negli attacchi in Afghanistan. Funzionari dell’esercito americano hanno anche redatto una lista dei militari e degli agenti segreti pakistani che, a loro avviso, collaboravano con i Talebani. Uno scenario, quindi, completamente in contrasto con l’immagine dell’alleato pakistano presentato al pubblico americano.
Subito dopo la loro pubblicazione, ricorda la giornalista Stefania Maurizi ne “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks”, il settimanale tedesco Der Spiegel aveva intervistato Assange, chiedendogli: «Lei avrebbe potuto creare un’azienda nella Silicon Valley e vivere a Palo Alto in una casa con piscina. Perché ha invece deciso di dedicarsi alla creazione di WikiLeaks?». Assange aveva risposto: «Si vive solo una volta e quindi abbiamo il dovere di far un buon uso del tempo a disposizione e di impiegarlo per compiere qualcosa di significativo e soddisfacente. Questo è qualcosa che io considero significativo e soddisfacente. È la mia natura: mi piace creare sistemi su larga scala, mi piace aiutare le persone vulnerabili e mi piace fare a pezzi i bastardi».
a cura di Livia Mordenti