Why Not, il caso
La storia, probabilmente, non è ancora finita. Qualche pagina possiamo ancora scriverla prima che, usando ogni mezzo a disposizione, il nuovo estabilishment del potere in Italia si consolidi ed occupi tutte le caselle ancora libere. Negli ultimi due anni, in questo Paese, si sono registrate le più drammatiche, complesse e gravi sospensioni delle garanzie costituzionali dai tempi del fascismo. Anzi forse dell’intera storia di questo strano e maledetto paese. A ben vedere nemmeno sotto il Governo Mussolini è successo (o sarebbe potuto succedere) quello a cui assistiamo, quasi inermi, da più di un anno aiutati dalla migliore macchina di disinformazione mai messa in piedi. Parliamo di Why Not. Del caso che ormai potremmo chiamare De Magistris-Genchi-Catanzaro-Salerno-CSM. Perché toni così gravi?
Perché si tratta di una vicenda che forse molti di noi hanno erroneamente ridotto a guerra di un pollaio minore. Un bisticcio grottesco per un briciolo di poteri e di soldi.
Ma non è così.
Un caso che coinvolge magistratura, politica, imprenditoria ed una parte del mondo cattolico che all’ombra della massoneria e di poteri istituzionali deviati ha gestito impunemente, e forse continuerà a farlo, montagne di soldi che l’Unione Europea ha fatto piovere sulle regioni del Sud. In particolare la Calabria. C’era una volta Luigi de Magistris, la favola inizierebbe così, ma le possibilità che si concluda tutto con un lieto fine sono ridotte al lumicino anche se la morale è facilmente intuibile: dal punto di vista tecnico non siamo più una democrazia! Torniamo a Luigi De Magistris. Oggi lavora a Napoli e fa il Giudice del Riesame. Ma non molto tempo fa la sua residenza era Catanzaro e svolgeva l’incarico di Pubblico Ministero finché il Consiglio Superiore della Magistratura (l’organo di autogoverno dei Giudici) non lo ha ritenuto colpevole, sotto il profilo disciplinare, ed “incompatibile” con l’ambiente di lavoro, vale a dire colleghi di ufficio e contesto territoriale.
Da quando è arrivato in Calabria, De Magistris, ha ficcato il naso su decine di scandali. Ha colo spesso nel segno, altre volte no. Quando le sue sensazioni investigative, una volta verificate, si sono dimostrate perfettamente lecite se n’è accorto ed ha fatto marcia indietro. Siamo uomini ed è sempre possibile sbagliare. Ma anche quando scopriva che dietro alcuni “affari” tutto era regolare, spesso – troppo spesso – metteva in fila una serie di soggetti e di fatti teoricamente che se non dicevano nulla sotto il profilo penale, diversamente appariva la loro importanza sotto l’aspetto etico e politico.
Ma un bel giorno…
Se patata bollente o mela di Newton, non importa. Ma la storia di cui tutti parlano, anche male, comincia nel 2005. La Calabria ha da poco cambiato Governatore. A Giuseppe Chiaravalloti (Forza Italia) succede Agazio Loiero (Margherita-PD). Prima ancora dell’omicidio del Vice Presidente del Consiglio Regionale (avvenuto a Locri nell’ottobre del 2005 e per la cui esecuzione sono stati condannati all’ergastolo i quattro imputati – mandanti ed esecutori – lo scorso 2 febbraio) fecero notizia le “scuse” di Loiero ai calabresi per le condizioni del mare in apertura della stagione balneare. Eppure proprio in quel periodo sarebbero dovuti entrare in funzione dei nuovi depuratori. Proprio per ripulire il mare calabro dalla “cacca” che lo invadeva l’Unione Europea, nell’ambito dei progetti POR, aveva finanziato la costruzione di nuovi impianti di depurazione per un importo complessivo di 800 milioni di euro. Soldi regolarmente arrivati a destinazione, per poi sparire, senza che di depuratori ci fosse l’ombra. Anzi qualche scheletro o qualche cantiere è rimasto. Assieme alla cacca che nessuno ha rimosso. De Magistris indagherà su questi soldi spariti (1600 milardi delle vecchie lire) e facendolo disvelerà un meccanismo criminoso e per certi versi osceno. Alcuni imprenditori, attraverso società di comodo, si sono garantiti l’accesso ai finanziamenti. Ottimi progetti sulla carta che venivano accreditati come validi. Dai controlli nulla di anomalo. Come mai? Gli imprenditori andavano a braccetto con i politici che, ottenendo una fetta di quel denaro per finanziarsi, avevano la sicurezza di entrambi gli occhi chiusi nella fase di controllo e verifica.
In questa spartizione risulterebbero coinvolti anche nomi grossi della politica nazionale, assieme a faccendieri di primo piano e qualche ex piduista. Qui cominciano i primi attriti tra Luigi de Magistris ed il suo capo, Mariano Lombardi (oggi in pensione). A Lombardi non piacciono certe iscrizioni nel registro degli indagati. Soprattutto non piacciono perquisizioni e sequestri che rischiano di cristallizzare le “ruberìe”. De Magistris si macchierà di una colpa imperdonabile. Tra i tanti nomi iscritti nel registro degli indagati appunterà anche quello dell’avvocato Giancarlo Pittelli. Passato dal Senato alla Camera. Non l’aveva comunicata, De Magistris, per un motivo molto semplice. Il figlio della compagna del Procuratore Capo di Catanzaro è socio in affari proprio di Pittelli. Ed era ed è notoria l’amicizia che lega il Senatore al Procuratore. Con questo pretesto l’inchiesta Poseidone gli verrà sottratta. Ma De Magistris non demorde e continua ad indagare.
Un giorno una donna chiede di incontrarlo per informarlo di come, negli anni, il mercato del lavoro in Calabria sia finito in mano a poche persone, così come i finanziamenti per l’informatizzazione della pubblica amministrazione regionale e per progetti rimasti solo sulla carta, ma regolarmente liquidati. Caterina Merante, proprietaria della “Why Not outsourcing”, sarà la super teste nell’indagine che porta il nome della sua azienda. Spiega come, divenuta socia di Antonio Saladino, sia riuscita ad accaparrarsi tutte le commesse bandite dalla Regione Calabria in maniera formalmente lecita, ma scandalosamente truccata nella sostanza. Saladino era ai vertici della Compagnia delle Opere in Italia, una specie di Confindustria di Comunione e Liberazione, ed il numero uno assoluto in Calabria.
Una serie infinita di rapporti estremamente confidenziali con tutti: politici, magistrati, forze dell’ordine, gerarchie ecclesiali. Si cominciano a raccogliere le deposizioni della Merante e, verificando attentamente le cose dette (e quelle non dette), il dato più importante sembra essere uno. I nomi che comparivano in Poseidone, compaiono in Why Not. Anche se questa volta la rete si allargherà e molto. I segnali che portano all’ipotesi di una super loggia massonica con sede a San Marino; le cifre da capogiro spesi per un’informatizzazione che non c’è stata e progetti di sviluppo mai realizzati; le collusioni e le reciproche “cortesìe” tra Saladino ed i più importanti livelli istituzionali; tutti fattori che inquadrati sotto la giusta lente portano di fronte a qualcosa che supera in maniera esponenziale lo scandalo di “Tangentopoli” e che vede coinvolti tutti i partiti, senza alcuna eccezione.
Ma il lavoro del PM De Magistris sembra riaccendere, nel cuore silenzioso dei calabresi onesti, la speranza di poter rimuovere incrostazioni vecchie decenni. Finché anche questa inchiesta sarà “avocata”. Si era cercato in tutti i modi di scipparla a De Magistris ed metodo più efficace è stato quello di tirare in ballo sempre nomi importanti, ma che non c’entravano nulla con le indagini. Oppure fughe di notizie addebitate a De Magistris, ma che lui aveva tutto l’interesse che non si verificassero. Come quella sull’iscrizione nel registro degli indagati di Prodi, prima, e di Mastella, dopo. Con il primo che non fa una piega ed il secondo, all’epoca Guardasigilli, che andrà su tutte le furie chiedendo il “trasferimento d’urgenza” del magistrato. Un potere conferito al Ministro della Giustizia dalla “riforma Castelli” che il centro-sinistra (siamo nel 2007) non aveva cancellato come promesso in campagna elettorale.
Ecco allora l’assurdo giuridico. Il blackout democratico. Avendo De Magistris iscritto il Ministro della Giustizia nel registro degli indagati, ed avendo questi a sua volta chiesto una sanzione disciplinare per il PM, si creerebbe un conflitto di interessi che l’avvocato generale dello Stato – che svolgeva le funzioni di Procuratore Generale presso la Corte d’Appello – Dolcino Favi, risolve “avocando” l’inchiesta a De Magistris. Un magheggio pretestuoso (solo ripeterne i passaggi fa sorridere), illegittimo (il CSM aveva nominato due giorni prima il nuovo Procuratore Generale, facendo venire meno la titolarità delle funzioni in capo all’Avvocato Generale), ma funzionale allo scopo: fermare quel Giudice!
Da quando è a Catanzaro, Luigi de Magistris è stato oggetto di una quantità impressionante di interrogazioni parlamentari e denunce per le sue condotte, evidentemente troppo intransigenti. Si è sempre difeso davanti al tribunale competente, quello di Salerno, che dovendo necessariamente archiviare le notizie di reato ha poi aperto nuovi fascicoli alla luce delle dichiarazioni che De Magistris aveva reso proprio in quella sede.
E’ così che la Procura di Salerno, muovendo dalle archiviazioni a favore di De Magistris che evidenziavano l’esistenza di un “vero e proprio complotto” finalizzato a “turbare” l’attività investigativa comincia il proprio lavoro chiedendo ai colleghi di Catanzaro quelle carte su cui lavorava l’ex PM. Ex perché nel frattempo il CSM lo condanna disciplinarmente trasferendolo di sede e funzioni. Ma subito e senza indugi. Per lui anche la richiesta di “anticipato possesso” della nuova sede che non gli consentirà di chiedere il rinvio a giudizio per gli indagati di un’altra inchiesta “calda”: Toghe Lucane. Da Catanzaro, alla richiesta di avere copia degli atti di Poseidone e Why Not, risponderanno picche, tre volte.
Finché a dicembre il Procuratore Capo di Salerno, Luigi Apicella, assieme ai sostituti Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, si recano a Catanzaro per notificare un “decreto di sequestro probatorio” con annessa perquisizione a carico di tutti quei magistrati che si presume abbiano ostacolato De Magistris. Ad un provvedimento lecito e corretto la Procura Generale di Catanzaro risponde con un provvedimento di contro-sequestro su quegli stessi atti al fine di impedire la copia ai PM di Salerno. Ma valutare l’operato di Apicella, Nuzzi e Verasani spetta al Tribunale del Riesame di Salerno cui si rivolgeranno alcuni indagati perdendo.
L’unico Tribunale titolato ad entrare nel merito del provvedimento ha stabilito che l’intero atto non era né illegittimo, né abnorme, né presentava elementi “eversivi”, come ebbe a definire il decreto il PG di Catanzaro Enzo Jannelli. Sentenza arrivata in ritardo rispetto a quella pronunciata dal Consiglio Superiore della Magistratura secondo la quale Nuzzi e Verasani vengono trasferiti, di sede e funzioni, mentre Apicella viene addirittura sospeso da funzioni e stipendio ad un passo dalla pensione.
Ecco il corto-circuito. Con un colpo di mannaia vengono messi in discussione l’articolo 3 della Costituzione (uguaglianza di fronte alla legge); l’articolo 25 (diritto al Giudice naturale); l’articolo 101 (Giudici soggetti soltanto alla legge); l’articolo 107 (inamovibilità dei Magistrati).
Tutto sotto l’occhio indifferente del Capo dello Stato che da Presidente del CSM (articolo 87) non ha mosso un dito in difesa dei magistrati onesti, né pronunciato una parola di monito a quelli che, onesti, lo sono stati di meno. Alla Calabria martoriata dalle sue sventure storiche, stuprata dalla ‘ndrangheta e saccheggiata dai comitati d’affari non rimaneva che confidare nella parte sana della magistratura che invece è stata messa in minoranza. E se non serve più il tritolo o le pallottole per rimettere gli “affari” sul binario giusto, quanto tempo ci vorrà perché l’esperimento – che sembra riuscitissimo – si ripeta altrove?