Walter è stato assolto, ma la battaglia continua
“Non ho tempo di aspettare una giustizia che ha sbagliato il suo obiettivo. Il dolore non aspetta” aveva detto negli scorsi giorni Walter De Benedetto, assolto perché il fatto non sussiste dal Tribunale d’Arezzo.
Nonostante la prescrizione di cannabis medica, Walter non aveva accesso alla cannabis di cui aveva bisogno per curarsi, motivo per il quale aveva deciso di coltivarla, facendosi aiutare da un amico visto che lui era impossibilitato a farlo. La sentenza mette la parola fine su questa brutta pagina, ma lascia aperto il processo per l’amico, che nel frattempo è stato condannato ad un anno e 2 mesi, e per le migliaia di pazienti che sono nella medesima condizione, quella di non avere accesso al farmaco.
“Ce l’abbiamo fatta, anche grazie al supporto di chi da fuori ha seguito la situazione processuale. Walter è stato assolto in quanto è stato dichiarato non colpevole di voler spacciare ciò che invece aveva necessità di consumare per uso terapeutico”, hanno detto gli avvocati Lorenzo Simonetti e Claudio Miglio, legali di Walter De Benedetto.
Come ricordano da Meglio Legale, che ha supportato Walter anche con l’appello inviato al presidente Mattarella “date le sue precarie condizioni di salute, De Benedetto non è riuscito a raggiungere l’aula. Davanti al Tribunale per sostenere la sua causa e quella di molti altri pazienti che si trovano nelle sue condizioni si sono riuniti Meglio Legale, l’Associazione Luca Coscioni, i Parlamentari On. Caterina Licatini (M5S) e On. Riccardo Magi (+Europa), il Segretario di Radicali Italiani Massimiliano Iervolino, esponenti di Volt e Giovani Democratici Toscana”.
Presente anche il gruppo musicale Matti delle Giuncaie che alla storia di De Benedetto hanno dedicato un brano, “Matto”, scritto da Erriquez della Banda Bardò (scomparso lo scorso febbraio).
Ora le priorità restano quelle di ampliare la produzione di cannabis, rilasciando anche le autorizzazioni per la produzione ad aziende private, tema affrontato più volte e poi risoltosi in un nulla di fatto, e di mettere la cannabis a carico del servizio sanitario nazionale, mettendo fine alle differenze sancite dalle diverse leggi regionali. Il tutto mentre in Commissione giustizia si discute della legge che potrebbe legalizzare l’autoproduzione di cannabis.
Intanto, con l’avvocato Zaina, abbiamo ragionato sul significato e sul valore concreto di questa decisione. Tolto il fatto che “la pronunzia del tribunale di Arezzo (non nuovo peraltro a pronunzie assolutorie in materia di coltivazione, anche se con una giurisprudenza tutt’altro che univoca) sia importante”, bisogna sottolineare che: “Essa, però, non è né inedita né storica. Già in passato, infatti, ad esempio il Gup dì Trieste (nel luglio 2016.) aveva mandato assolto un coltivatore, che aveva allestito una piantagione personale per estrarre prodotto destinato a fini terapeutici”.
Secondo Zaina: “Il caso specifico, però, appare presentare una qualche particolarità perché il coltivatore è persona malata gravemente. La condotta dallo stesso tenuta, presenta un profilo qualificante che lo distingue dal generale carattere ludico-ricreativo. Il caso, poi, esprime una carica di forte emozione e partecipazione umana proprio perché il De Benedetto trova nella assunzione di cannabis l’estremo lenitivo alle sue sofferenze. Così l’imputato ha rivendicato l’esimente della tutela della salute, posto che l’assunzione della cannabis appare certamente idonea sul piano terapeutico rispetto alle patologie di cui egli risulta afflitto”.
E su questo sono tutti d’accordo. “Ciò che, invece, maggiormente deve rilevare è l’analisi delle effettive ricadute fattuali e giuridiche che la sentenza può avere nella quotidianità. La sentenza certamente costituisce significativo precedente giurisprudenziale, ma essa deve essere contestualizzata rispetto al caso concreto ed ai limiti di cui alle indicazioni di SSUU n. 12348/20 (in tema di coltivazione non punibile)”.
Il punto dell’avvocato è che bisogna “rilevare che è plausibile e ragionevole affermare che la giurisprudenza – con la sentenza del Tribunale di Arezzo – non sdogana affatto il fine terapeutico come scriminante della coltivazione. È plausibile – allo stato – ritenere che la sentenza di Arezzo assolva Walter De Benedetto perché la sua condotta risulta priva di offensività giuridica e sia caratterizzata da quei requisiti che, come detto., sono stati analiticamente indicati dalle SSUU come deroga al generale divieto di coltivazione. Tra questi non è però contemplato in modo specifico il fine terapeutico. Se, infatti, il giudice avesse, invece, ritenuto decisivo lo scopo terapeutico, non si comprenderebbe la evidente distonia fra questa sentenza e quella che ha condannato pare ad 1 anno e 2 mesi un amico dell’imputato, reo di averlo aiutato annaffiando la piantagione”, sottolinea l’avvocato concludendo che: “La sentenza in questione per la sua rilevanza mediatica (quale espressione di maggiore visibilità di un orientamento esegetico silenziosamente consolidato) deve costituire un’occasione imperdibile per potere superare la attuale struttura del dpr 309/90″.