Vita da grower: da Bologna a Barcellona inseguendo il sogno verde
Questa storia inizia a Bologna nel 2013, quando sulle pagine di “Dolce Vita” compare il racconto di un ragazzo che ha lasciato l’Italia per Spagna, dove, grazie a un vuoto legale e a degli attivisti baschi, da qualche anno erano nati i Cannabis social club. Ilde, poco più che trentenne, ne viene ispirata: lavorare con la marijuana era esattamente quel che voleva e col suo entusiasmo contagia il suo compagno. Così a bordo di una Punto mezza scassata, carichi fino al tetto di attrezzature da campeggio e sopravvivenza, partono alla volta della penisola iberica. Si fermano a Barcellona, la città dove vivono tuttora con il loro bambino di 4 anni, un cultivo, un’associazione cannabica e una selezione di genetiche più che rispettabile.
Ottobre è alle porte, cosa stai per raccogliere?
Quest’anno stiamo testando in outdoor i semi che abbiamo prodotto l’anno scorso di Mango Sapphire x Blood Diamond, Pink Monkey BX, Gorilla Diamond S1 in collaborazione con gli amici del banco di semi Gratefullseed e raccoglieremo anche Watermelon Zkittlez, Mimosa, Dosidos e Banana Punch.
Come si svolge la tua giornata?
Se lavoro al cultivo, la sveglia non suona prestissimo, ma si lavora a volte anche tutta la notte. Con il mio compagno facciamo un piccolo briefing ogni giorno e ci dividiamo i compiti. Quasi tutti giorni la routine è la stessa: innaffiare, pulire, fare cloni, travasi e spesso anche trimming da portare al club. In più spendo anche qualche ora sulla mia pagina Instagram dove centinaia di ragazzi ogni giorno mi chiedono consulenza sulle loro piante, oltre a decine di proposte di lavoro o collaborazioni. A novembre per esempio sarò alla Biocannabis cup di Minorca come giudice professionale nella categoria indoor.
Come si vive da grower a Barcellona?
Meravigliosamente. Tutta la movida europea e non solo guarda a Barcellona, ci sono molte associazioni, eventi e possibilità di fare, tanto che ci si sente parte integrante di un mondo fantastico. La nostra qualità della vita grazie alla cannabis è migliorata moltissimo e oggi dopo 5 anni mi sento sempre più a casa.
Come siete entrati nel mondo del lavoro della cannabis?
Arrivati a Barcellona abbiamo conosciuto due ragazzi, amici di amici, che lavoravano già a un buon livello, così abbiamo iniziato a coltivare ottime genetiche e collaborare con breeder affermati, vincendo il 3 posto alla 420 cup di Amsterdam con una Peach Slush. La società durò un anno, ma ci ha spianato la strada per andare avanti da soli.
Qual è la prima cosa che hai imparato a tue spese?
Ho imparato che purtroppo il mondo della cannabis non è esente dalle cattive persone e quando lavori bene o proponi qualcosa di nuovo come il corso da bud tender che inizierò quest’anno, c’è sempre qualcuno che prova a ostacolarti, o mosso da maschilismo o dall’invidia. Una donna competente che lavora meglio di molti uomini ancora stupisce o infastidisce qualcuno. È proprio quando cercano di ostacolarmi che trovo la forza di migliorare e andare avanti, senza demoralizzarmi, sfruttando le critiche come input.
Che tipo di riflessione ti senti di fare alla luce della tua esperienza lì?
Più che una riflessione, vorrei fare una richiesta di riflessione, soprattutto agli italiani che già vivono qui, ma anche a chi si accinge a trasferirsi: quello che possiamo fare (senza entrare nel merito “assenza di leggi” e norme varie) con la cannabis qui in Catalunya è tantissimo. Le associazioni hanno regole da rispettare obbligatorie, oltre al buon senso comune, però molti non si accontentano di quel tanto che già hanno, e oltre a infrangere tutte le regole, promuovono una immagine sbagliata e pericolosa dei Cannabis Club. Non tiriamo troppo la corda, trasformando una possibilità meravigliosa in puro e sterile guadagno economico. Per colpa di alcuni, che non sono mossi dagli stessi nostri ideali, pagheremo tutti. Il rischio è quello di un unico falò, dove chi lavora rispettando la vera essenza delle associazioni verrà inserito allo stesso livello di chi invece va totalmente contro questa essenza e contro i valori etici che sottintende. Diciamo grazie per la possibilità che abbiamo e lavoriamo per migliorare e non per distruggere, in nome del dio denaro, questa enorme opportunità.
Come ti sembra l’Italia da lì?
L’Italia la vedo molto lontana e da lontano non sento più nessun senso di appartenenza. Un paese che non vuole cambiare, che ha lasciato che politici ignoranti distruggessero tutto un tessuto sociale, identificando nemici di colore nero e togliendo ogni speranza di sicurezza e stabilità lavorativa e quindi economica, fino a fare addirittura la guerra ai giovani e al loro futuro. La questione CDB in Italia e la risposta politica che ha avuto sono la dimostrazione di tutto ciò.