Vita da grower: 30 anni nell’illegalità
Quando coltivare cannabis è una vera passione, condivisa in Italia da oltre 10mila persone col pollice verde (per la legge, tutti criminali)
La storia della cannabis criminalizzata, proibita e osteggiata ha creato negli anni un mondo sotterraneo di coltivatori domestici che per vari motivi, come evitare di dare soldi alla criminalità, curare eventuali patologie – dato che è complesso e costoso accedere alla cannabis terapeutica – o semplicemente per poter coltivare direttamente i propri fiori, disobbediscono ad una legge sbagliata e ingiusta. In questo mondo invisibile (per forza di cose se non si vogliono avere problemi legali) ma rigoglioso si celano dei coltivatori di tutti i tipi: dai principianti ai più esperti e sperimentatori. Insomma l’idea di mettere un seme dentro un vaso e raccogliere i propri fiori affascina molte persone, un esempio recente è la campagna di disobbedienza civile ancora in corso #iocoltivo. In Italia si contano circa 100mila grower ma i numeri sono sicuramente più alti perché si riferiscono al periodo precedente la pandemia che ha visto un aumento esponenziale della coltivazione domestica. Siamo riusciti ad entrare nel giardino di un grower italiano, attivo da oltre 30 anni, per farci raccontare la sua lunga esperienza.
Da quanto tempo coltivi?
Dividerei in due archi temporali la mia esperienza di coltivazione. I tempi in cui coltivavo male e quelli in cui ho iniziato a coltivare meno male. Misi giù i miei primi semi di cannabis nel 1985, avevo 15 anni.
Dove hai coltivato cannabis la prima volta?
La location non era delle migliori e tanto meno delle più sicure, in ogni caso il sole era garantito (quello era fondamentale). Erano 6 piante nel tetto della casa dove vivevo con i miei genitori, occultate dagli sguardi dei vicini da un grosso albero. Per me tutto era perfetto ma non avevo fatto i conti con la scaltra accortezza di una madre premurosa e sagace che dopo alcuni mesi di via vai del figlio, comunico a mio papà di verificare personalmente il mio andirivieni sul tetto. Fu così che il mio primo ciclo si concluse con un gran lancio di vasi sul cortile per opera delle possenti braccia di mio padre. Le piante comunque erano già grandi e abbastanza belle, peccato che finirono fra gli sfalci e le ramaglie del giardino di casa. Da allora, amareggiato e sconfitto da due genitori “troppo attenti”, decisi di iniziare le mie prime esperienze outdoor “guerriglia” nelle colline circostanti al mio paese. Portavo avanti dalle 5/6 piante all’anno per uso personale, per tutti gli anni della mia adolescenza e anche più, per poi mollare nei tempi dell’università. Diventato quasi adulto e vivendo da solo, iniziai la seconda parte della mia avventura con la coltivazione: “quella indoor” alternata a qualche collaborazione in guerriglia con un amico fidato. Erano i tempi delle Sative Africane, i tempi delle vere Durban e dei primi semi olandesi. Il libro che ci introdusse alle prime rudimentali tecniche di coltivazione era il famoso quanto ambiguo ‘Campa Cavallo che l’Erba Cresce’, oggi sorpassato dalle più corrette e complete bibbie della marijuana. Dopo queste miste e primordiali esperienze mi concentrai sempre più sulla coltivazione indoor e sulle sue tecniche fino ad arrivare ad oggi. Gli ultimi dieci anni, sono stati quelli più costruttivi.
Quali sono le regole più importanti per un buon cultivo che hai scoperto nel tempo?
Le regole fondamentali sono l’amore, la dedizione e l’umiltà che si mettono nel fare le cose. Senza questa triade difficilmente avrai risultati appaganti. Il mio botanico preferito “Luther Burbank”, studioso statunitense nato nel 1849, improntò tutta la sua carriera di botanico manifestando un immenso amore per le sue piante, tanto che con umiltà e semplicità creò fra le più straordinarie genetiche del mondo come il Cactus senza spine. Il mondo scientifico lo criticava per i sui scarsi documenti riguardo le sue ricerche ma non se ne curava particolarmente e perseguiva l’obbiettivo finale. C’è una correlazione fra tutti gli elementi della natura uomo-piante piante-animali, che sono i cosiddetti “campi morfici”, una sorta di telepatia che si innesca fra tutti gli esseri viventi creando un’armonia reciproca. Resta ovvio che all’amore, alla passione e alla dedizione seguono un costante studio e una costante ricerca. Non si finirà mai di imparare, siamo eterni studenti.
Luther Burbank è stato il tuo maestro e mentore?
Si decisamente ma i miei maestri sono diversi, tanti, forse troppi. Sono una persona a cui piace prendere il meglio dagli altri. Ogni grower, ogni breeder ha sempre qualcosa da trasmettere a qualcun altro; e non occorre che uno sia un master grower di spessore per trasmettere conoscenze. Divoro libri di botanica, genetica, biologia e quanto altro possa appagare la mia curiosità. Sono iscritto su gran parte dei più gettonati forum nazionali ed internazionali (enjoint è il mio preferito degli italiani), dove gli utenti condividono le loro conoscenze in materia di coltivazione della cannabis. Ognuno di questi utenti può essere un mentore, può darti uno spunto di lavoro, un’idea, un input. Metto in primis la condivisione libera del sapere, con la coscienza che bisogna saper discernere e selezionare la giusta informazione che ti servirà come bagaglio culturale da applicare ai tuoi cultivi. Ho comunque dei grower di spessore da cui traggo i principali insegnamenti e che reputo fra i miei principali mentori. Uno di questi è David Watson, meglio conosciuto come Sam the Skunkman, un altro, purtroppo recentemente scomparso è Subcool.
Che metodo utilizzi adesso dopo tanti anni? Ne avrai cambiati tanti…
Come tutti gli appassionati di coltivazione, ho iniziato col classico suolo preconfezionato e pre-fertilizzato su vaso, e con le varie tecniche di manipolazione sulle piante per poi passare all’idroponica e all’aeroponica con l’ausilio di fertilizzanti prettamente minerali. Col passare degli anni, dopo un’attenta osservazione e comparazioni delle varie tecniche adottate sulle piante, in particolare su alcuni aspetti della crescita e della fioritura, mi sono accorto che la cannabis è una pianta che ha bisogno di pochi nutrimenti ma devono essere il più vicino possibile a quelle componenti che un suolo, in natura, rilascia normalmente alle piante. Non che sia contrario alle linee complete minerali, biominerali & Co, come le passano oggi, ma per mia personale esperienza e idea di lavoro, ho orientato i miei cultivi verso un’alimentazione full organic combinata vegan. I fertilizzanti organici e vegani sono di natura biodisponibili nella quantità di nutrienti che le piante sono in grado di assorbire nell’arco delle 24 ore a seconda del loro status di crescita. In sintesi sono più simili ai nutrienti che le piante assorbirebbero nel loro ambiente naturale, generando un substrato più articolato ed armonioso. La chiave di tutto sta nel terreno, nei microorganismi e nei funghi benefici e batteri che coabitano armonicamente fra loro. Questo è il famoso supersoil, un suolo vivo che imita all’interno della tua stanza di coltivazione un ecosistema naturale. Attualmente coltivo con questa tecnica sia indoor che outdoor.
La terra è uno degli elementi più importanti da scegliere bene?
Più che importante direi che è fondamentale. Il terreno per la cannabis deve essere molto arioso, soffice e allo stesso tempo ben drenante. La cannabis non ama avere per molto tempo i piedi a mollo, ma non ama neanche un terriccio troppo asciutto, quindi dovrebbe avere anche la capacità di trattenere per quel tempo necessario una giusta quantità d’acqua. Ecco il terreno deve essere un buon supersoil…. VIVO.
Visto che usi entrambe le tecniche quale preferisci maggiormente: indoor o outdoor?
Quando si tratta di cannabis non faccio differenze, amo questa pianta nella sua interezza e in tutte le sue magnifiche sfaccettature. Un prodotto può essere eccellente sia che venga coltivato indoor che outdoor o greenhouse, l’importante è che venga curato con i criteri più adatti e consoni al fine di ottenere un buon risultato finale. A me piace fare ricerca e sperimentazione, quindi dal mio punto di vista, trovo che l’indoor sia la soluzione più idonea per ottenere risultati in maniera più veloce e mirata.
Sei mai stato beccato?
Fortunatamente ancora no. Mai trovato neanche con una canna in mano, ma ogni qualvolta sento di un arresto per autocoltivazione il mio cuore perde un pezzo di libertà e serenità. Allo stesso tempo, queste brutte notizie mi incoraggiano ancora di più a violare questa assurda legge e nel contempo a proseguire la mia battaglia a favore della legalizzazione.
Quali varietà recenti consigli e quali passate?
Oggi di genetiche c’è ne sono un’infinità e molto valide sia europee che americane. Di recente amo e apprezzo i lavori dei ragazzi di Ethos Genetics, una delle mie preferite e che consiglierei è la: Ethos Chem OG RBX1 – (Colorado CHEM RBx3 x OG Kush RBx4). Di Genetiche del passato consiglio invece una buona vecchia DURBAN, pianta straordinaria perché mi riporta alla gioventù.
Qual è l’innovazione degli ultimi anni nel campo della coltivazione?
Il mondo della cannabis è in costante crescita, modifica e aggiornamento. Resta ovvio che come amante della coltivazione indoor, le innovazioni degli ultimi anni si concentrano sull’illuminazione artificiale ed in particolare sui LED. Questa è un’importante innovazione che per un coltivatore può fare la differenza.
Il tuo ultimo ciclo?
Spero sia il più tardi possibile… il mio è un ciclo continuo.
Il tuo ultimo joint?
Una crema di hashish lavorato tipo Pakistani, impastata con una battitura ad alto tenore di CBD. Ovviamente autoprodotto.
Hai uno strain nel cassetto che vorresti coltivare?
Ne ho tanti, centinaia in frigo che attendono di vedere la luce….ma attualmente sono a caccia di una Sativa old school di non facile reperimento.