Viaggio in Rajasthan
Un viaggio nel Rajasthan è oggi soprattutto un percorso attraverso le testimonianze lasciate dai principi guerrieri: fortezze, templi e innumerevoli regge, per buona parte trasformate in alberghi di lusso e in musei, ma in alcuni casi ancora abitate dalle antiche famiglie regnanti. Si viaggia fra storie antiche di eroismi e di orrori e cronache più recenti di fasti senza limiti. E’ questa l’India che ha alimentato per secoli l’immaginario degli occidentali e che ha fornito la cornice di innumerevoli romanzi e film d’avventura. L’India arcaica dei villaggi senza tempo si sposa qui con le
follie dei “nuovi ricchi” che hanno costruito nei centri di origine 2400 palazzi, ornati di pregevoli dipinti, per poi abbandonarli in massa alle offese del tempo e degli uomini.
A poche ore d’auto dall’aeroporto internazionale di Delhi, Samode è un posto tanto piccolo che non lo troviamo neanche sulla carta stradale. Una cittadina murata, con le case in rovina, 7000 abitanti per tre quarti musulmani. Si apre un primo portale, poi un secondo e all’abitato fatiscente succede una fastosa visione da Mille e una notte. E’ la reggia del rawal, il principe che vi ha regnato fino al 1947, trasformata in un bell’albergo dall’atmosfera anglo-indiana. Scalette, passaggi ombrosi, fughe di terrazze e di cortili, camere impreziosite da alcove con bassi sommier, grandi conchiglie di marmo nel pavimento come vasche da bagno, mobilio “europeo” di epoca coloniale. A tre km dalla reggia visitiamo il giardino del rawal di impianto moghul: ricorda i “paradisi” della Persia antica, con corsi d’acqua che si intersecano ad angolo retto. Confina con un albergo-campeggio, con le tende fornite di begli arredi e di ogni comodità. Ricorda i fastosi accampamenti eretti dal principe quando usciva, con migliaia di persone al seguito, per la grande caccia annuale. Nel giardino incontriamo l’attuale rawal, Ragbendel Singh, un giovane dall’impeccabile aspetto di uomo d’affari. Ci saluta frettolosamente a mani giunte e sparisce seguito da un gruppetto di collaboratori. Vive a New Delhi e come gran parte degli altri principi rajastani, ha trasformato le regge avite in alberghi. Così, proprio come i suoi nonni, può alloggiare ospiti più o meno ricchi e famosi da tutto il mondo, li fa accudire da schiere di cuochi e camerieri, custodire da guardiani in costumi sgargianti, intrattenere da astrologi e burattinai, musici e ballerine. Con la differenza che una volta il conto veniva saldato con le imposte pagate dagli agricoltori e artigiani di queste misere steppe, mentre adesso pagano i turisti in valuta pregiata.
La seconda tappa , Jaipur, è un classico della letteratura di viaggio. E’ stata raccontata talvolta a tinte forti, in occasione delle terribili carestie che l’hanno colpita, talvolta a tinte delicate, come si addiceva a una città che era interamente dipinta di rosa. Dall’alto di una terrazza del tempio di Sita Ram Ji osserviamo il traffico del crocevia lì sotto. Le favole prima o poi finiscono: quella tutta rosa di Jaipur è stata inghiottita dalla tumultuosa transizione dell’India verso un’economia industriale. Sotto di noi autocarri, motocarrozzette, autobus e motorini fanno lo slalom fra gruppi di vacche sacre, ciclisti, qualche occasionale elefante, carretti trainati da uomini, cavalli , buoi, cammelli. Non ci sono semafori. Un turista indiano ci legge in faccia un’ombra di perplessità e commenta:“Tre P stanno guastando l’India: Pollution (inquinamento), Population, Politicians”. Se è per questo, non solo l’India!
La terrazza del tempio è cosparsa di granaglie, messe lì per cibare uccelli e topi. Le vacche sacre appaiono abbastanza in carne ma i mendicanti sono sempre numerosi e insistenti. L’India ha vinto la sua battaglia contro la fame, nonostante l’esplosione demografica. La “rivoluzione verde”, cominciata nella seconda metà degli anni 60 con l’introduzione di qualità di riso ad alto rendimento, sta dando risultati eccellenti. Le strade di Jaipur hanno forse perso l’incanto dell’Oriente antico, ma anche l’orrore dei bambini che morivano di fame sui marciapiedi.
L’incanto lo ritroviamo nelle opere monumentali. Bellissimo e strano è il famoso Palazzo dei Venti. In realtà si tratta di una gigantesca struttura di palchi dai quali le segregate signore della corte principesca potevano osservare, non viste, le quasi quotidiane rappresentazioni stradali. C’erano matrimoni, visite di dignitari, processioni religiose, celebrate sempre con sfilate di ornatissimi elefanti, cammelli e cavalli montati dai Rajputi in sfolgoranti costumi . Partiremo in seguito verso il deserto di Thar sempre in questo paese di stridenti contrasti, diviso tra la dignitosa povertà e la più sfrontata ricchezza, in bilico tra la memoria del tempo perduto e le grandi sfide del Terzo Millennio.
Giorgio Gabbi