I miei viaggi con i funghi psichedelici
Convinto che medicina naturale e sostanze psicotrope siano strumenti di cura ed evoluzione, ho raggiunto Oaxaca, in Messico, per fare un’esperienza con i funghi psichedelici. Questo il racconto della mia iperconnessione con il tutto
I boschi che mi circondano sono solcati da tentacoli vaporosi di nubi, il cui biancore si espande fino a traboccare nel cielo. La foresta scompare alla mia vista, ma posso sentirla intorno a me, ne sento l’umidità sulla pelle, il profumo nei polmoni. Sento il respiro di un bosco intero.
Tutti i miei sensi sono all’apice, ed è come se ne avessi degli altri, più ampi e potenti, che risuonano con ciò che riconosco come una vibrazione cosmica. Mi ritrovo in uno stato di iperconnessione con il creato: tronchi, foglie, sottobosco. La vita vegetativa che svetta verso il cielo e la morte marcescente che nutrendo la foresta si prepara a tornare vita. Ne sono parte integrante.
Non so quanto sia durato tutto questo, pochi minuti, forse mezz’ora, ma ho bisogno di sedermi un attimo su un ceppo per riprendere fiato. Per la meraviglia avevo quasi dimenticato di respirare. Una leggera vertigine accompagna il mio movimento, mentre asciugo con una manica della giacca il sudore che m’imperla zigomi e fronte.
Sono le tre del pomeriggio: un paio d’ore fa ho assunto due grammi e mezzo di Psilocybe Cubensis, varietà Sant’Isidro. Funghi secchi, masticati e mandati giù con un po’ d’acqua e a stomaco vuoto, per un effetto più intenso.

Mi chiamo Alessandro Vullo, nella vita faccio tante cose, una di queste è documentare tramite fotografie, interviste e la mia testimonianza diretta le esperienze sull’utilizzo di medicine naturali e sostanze psicotrope come strumenti di cura ed evoluzione.
Sei mesi fa ho intrapreso un viaggio in Messico per ampliare i confini di questa ricerca all’insegna di uno stile di vita più sano ed equilibrato, non per forza allineato ai tradizionali pattern sociali e sanitari. La prima tappa è stata la Sierra Sur di Oaxaca, tra boschi costellati da villaggi a 2500 metri di altitudine, luogo noto per l’abbondanza dei funghi del genere Psilocybe e per il loro utilizzo medico e cerimoniale che si perde nella notte dei tempi.
OAXACA, LA TERRA DEI FUNGHI PSICHEDELICI
Nel 1953 il micologo Robert Wasson si recò nella Sierra Mazateca, catena montuosa che corre parallela alla Sierra Sur, a Nord dello stato di Oaxaca. Lo scopo del viaggio era incontrare la curandera Maria Sabina, nota nella regione per il suo utilizzo dei funghi psichedelici, da lei chiamati “niños santos”.
Dall’esperienza di Wasson venne fuori un articolo sulla rivista Life, che portò gran popolarità a Maria Sabina e diede il via a una lunga serie di pellegrinaggi che videro anche personaggi come Hoffman visitare l’umile dimora della curandera, per studiare i segreti della sua medicina ancestrale.
Dopo un iniziale entusiasmo per l’utilizzo terapeutico della psilocibina, a cavallo tra gli anni ’70 e ’90 l’insensata marea proibizionista travolse e gettò indiscriminatamente i funghi psichedelici nel calderone delle droghe, fermando qualunque ricerca sul campo, nonostante importanti voci dissidenti come quella di Terence McKenna.
Etnobotanico, psiconauta e professore, McKenna dedicò gran parte della vita a studi e sperimentazioni con molecole psicoattive, affermando che funghi e piante psicotrope non furono delle insidie lungo il cammino verso la civiltà, ma alleati che gli uomini scoprirono e utilizzarono per salire la scala evolutiva.
Una svolta arriverà nel 2006: in occasione del centenario di Hoffmann, verrà organizzato il primo simposio su LSD e psichedelia a Basilea. L’evento segna l’inizio di quello che oggi è conosciuto come “Rinascimento Psichedelico”, e vedrà un susseguirsi di provvedimenti di depenalizzazione e autorizzazioni alla sperimentazione degli psichedelici in ambito clinico e terapeutico.

A tal proposito, riporto la testimonianza di T., un ragazzo israeliano conosciuto in questa tappa del viaggio. T. mi racconta di aver utilizzato molto i funghi psichedelici a scopo terapeutico: ha infatti sofferto di un importante disturbo post-traumatico da stress dovuto alla sua militanza nell’esercito. Mi parla di come attraverso l’uso consapevole della psilocibina sia riuscito ad entrare in profonda connessione con se stesso, intraprendendo un faticoso ma sereno cammino e riuscendo infine a perdonarsi e a processare correttamente l’esperienza della guerra.
Anch’io non sono un neofita di questa medicina, e confrontandoci giungiamo alla conclusione che le esperienze vissute nei boschi della Sierra Sur siano state tra le più forti e profonde della nostra vita. Quei boschi hanno qualcosa di magico, e nelle esperienze con la psilocibina il set è fondamentale, ma non solo. L’utilizzo degli psichedelici esige un’attenzione e un rispetto fondamentali, a seconda della situazione può essere utile, soprattutto per le prime volte, il supporto di un sitter, figura con ruolo di “accompagnamento” o guida che si prende cura di te mentre sei sotto l’effetto di sostanze, accompagnandoti nella esplorazione.
NON ESISTE UN VIAGGIO UGUALE ALL’ALTRO
La psilocibina rientra tra quelle sostanze antagoniste del recettore 2A della serotonina, come altri psichedelici quali LSD, DMT e mescalina. È una sostanza che ha il potere di manifestare la mente, di dare delle visioni, a volte può mediare un’esperienza di profonda diluizione o dissoluzione dell’ego, generando quello stato di iperconnessione col tutto di cui parlavo all’inizio descrivendo la mia esperienza nei boschi di San Josè del Pacifico.
Non c’è uno standard nel descrivere l’esperienza; generalmente gli effetti insorgono dopo 20/30 minuti dall’ingestione, ma ci sono delle variabili da considerare: stomaco pieno o meno, stato emotivo dell’utilizzatore e, come già detto, il setting.

L’esperienza con i Sant’Isidro, consegnatimi dalle sapienti mani di Doña Ofelia, autorità del villaggio in fatto di funghi, è avvenuta a seguito di un digiuno di dodici ore e di un Temazcal, una sorta di sauna rituale. Non mi soffermerò sulla descrizione di questa potentissima pratica di medicina, mi limiterò a dire che l’effetto fisico è quello di una gran sudata con conseguente depurazione estrema.
Per questo motivo quel trip è forse stato il più potente mai sperimentato, accompagnato da una quasi totale morte dell’ego e visioni simili a quelle date dall’ayahuasca.
Differente l’esperienza che ho avuto nei boschi di San Mateo, villaggio distante una decina di km da San Josè, immerso ancora di più nella selva. Lì ho assunto un misto di Psilocybe Cubensis e Psilocybe Caerulescens, noto come Derrumbe, la varietà più potente che si può trovare tra questi boschi.
La quantità, assunta a stomaco vuoto, è stata di circa due grammi secchi, ridotti in polvere e incorporati in una tavoletta di cacao puro. Combinare il cacao con i funghi allucinogeni è una pratica abbastanza diffusa: la Teobromina, alcaloide presente nel cacao, funge infatti da stimolante del sistema nervoso centrale.
Il manifestarsi degli effetti questa volta è più graduale, ogni dettaglio acquista importanza e grande profondità. Con l’addentrarmi tra le ombre della foresta il viaggio si fa più oscuro. Mi chino a respirare l’odore dolciastro dell’humus, percepisco distintamente i movimenti di mille insetti: formiche, coleotteri, ragni. Le loro tele mi sembrano un portale tra il mondo degli spiriti e il piano materiale, mi sento circondato dagli spiriti della foresta e sento dentro di me quello dei funghi. Mi connetto alla loro memoria, i concetti di passato e futuro perdono di significato, mentre quello di tempo ne acquisisce uno diverso: un eterno momento presente in continuo mutamento, di cui tutto fa parte come espressione frattale di una sconfinata coscienza collettiva che si manifesta pensando a sé stessa.
È difficile esprimere con il linguaggio la mole di informazioni che giungono durante il picco, ma nel momento in cui vivo l’esperienza è tutto chiarissimo.
La fase calante inizia dopo circa tre ore dall’assunzione, i colori e le percezioni sensoriali sono sempre amplificati, ma termina il contatto psichico con l’assoluto e inizia una fase di integrazione e analisi, più riflessiva.
È il momento in cui avviene il lavoro più importante, dove riemerge quel tanto di coscienza che mi permette di avviare profondi processi utili alla risoluzione di traumi o blocchi emotivi. È un luogo dove posso avventurarmi libero dal giudizio, per risalire alle cause più o meno inconsce dei problemi che accompagnano la mia vita quotidiana, e gettare le basi per la loro risoluzione.
Faccio sempre in modo di arrivare alla fine del trip verso il crepuscolo, che tra queste montagne è particolarmente spettacolare. La tavolozza dei colori del tramonto è paragonabile a un quadro di Turner, gli animali notturni fanno sentire la loro voce e la foresta si accende di vita nuova, mentre ringrazio commosso per la meraviglia di questo regalo e ricordo le parole di Maria Sabina: «C’è un mondo oltre il nostro, un mondo invisibile, lontano ma anche vicino. È un mondo in cui tutto è accaduto e tutto è conosciuto. Quel mondo parla, ha una sua lingua. Ripeto ciò che mi dice. I funghi sacri mi prendono e mi portano nel mondo dove tutto è conosciuto. Sono loro a parlare in modo che possa comprendere. Io chiedo a loro e loro rispondono.»
a cura di Alessandro Vullo