Uso di formiche psicoattive fra le tribù della California
Sino al termine del Periodo Missionario, diverse tribù di indigeni della California utilizzavano la pianta allucinogena-delirogena del toloache (Datura wrightii Regel, Solanaceae) per contattare il mondo sovrannaturale e acquisire poteri sciamanici. Durante il periodo invernale, quando il toloache non è reperibile, essi utilizzavano un’altra fonte visionaria, che consideravano più potente della datura: formiche rosse del genere Pogonomyrmex, il cui doloroso pizzico è ben noto alle popolazioni indigene.
Le etnie maggiormente coinvolte in questa pratica riguardavano gruppi Shoshoni della California del sud (Kitanemuk, Kawaiisu, Tubatulabal) e diversi gruppi Chumash di lingua hokan. Anche alcuni gruppi di Yokuti della California centrale e i Miwok della California settentrionale erano dediti a questa pratica mirmecofila, seppure in forma attenuata (Groark 2001).
Fra i Chumash della California meridionale, se un giovane desiderava acquisire uno “spirito alleato”, doveva seguire la seguente procedura: si faceva accompagnare da una “dottoressa delle formiche” – una donna anziana del villaggio specializzatasi in questo compito – in un luogo appartato, a cielo aperto. Dopo tre giorni di digiuno e di vomiti notturni indotti per purificare il corpo, l’aspirante visionario si sdraiava sul terreno a schiena in giù; seduta accanto, l’anziana donna gli porgeva sulla bocca una piccola pallottola inumidita di peluria di aquila attorno alla quale erano avvinghiate 4-5 formiche vive. Il giovane doveva aspirare la pallottola con un unico soffio, in modo tale che non si fermasse nella bocca, ma fosse deglutita direttamente nello stomaco. Una dopo l’altra, il giovane poteva assumere sino a 90 pallottole, per un totale di circa 400 formiche. Queste dovevano restare vive nello stomaco; se fossero morte, sarebbe morto anche il giovane. Terminata l’assunzione, la donna muoveva energicamente il corpo del giovane, lo tamburellava allo stomaco, lo faceva rotolare avanti e indietro sul terreno, lo colpiva ai fianchi, e in tal modo le formiche ingoiate si mettevano a mordere la parete interna dello stomaco, iniettando tutte contemporaneamente il loro veleno. Come conseguenza di ciò il giovane perdeva conoscenza ed esperiva la visione così dolorosamente ricercata. Infatti tutta la fase di assunzione di formiche vive – che non risparmiavano morsi a destra e a manca mentre scendono nell’esofago – era accompagnata da una forte sensazione di bruciore alla gola, che aumentava sempre più, fino al momento della perdita di conoscenza. Se aveva assunto le formiche di prima mattina, il giovane riprendeva conoscenza nel pomeriggio. A questo punto egli beveva dell’acqua calda per indurre il vomito e permettere il “ritorno a casa” delle sacre formiche, rimaste vive per tutto quel periodo di tempo. Ciò era solo l’inizio di una serie di “scorpacciate” di formiche, a 400 per volta, che si susseguivano per 2 o 3 volte al giorno, per 3, 4 o più giorni, sino al momento in cui le formiche ingerite trovavano la via del “ritorno a casa” da per loro, cioè risalivano l’esofago e fuoriuscivano dalla bocca, senza più doverle vomitare. A quel punto si era completato il contatto con lo spirito alleato, che aveva scelto il giovane conferendogli le sue virtù.
Le medesime formiche erano impiegate dalle tribù californiane nei riti di iniziazione dei giovani, come prova di forza e di coraggio, e per scopi terapeutici, nella cura di paralisi, disturbi gastrointestinali, artriti e altre affezioni. La specie di formica coinvolta in questa pratica è stata determinata come Pogonomyrmex californicus Buckley (Groark 2001). Il genere Pogonomyrmex produce diversi composti biologicamente attivi e tossici, fra cui peptidi, neurotossine e alcaloidi (cfr. es. Schmidt & Blum 1978). Groark (1996) ha determinato che la dose impiegata nell’uso tradizionale per scopi visionari dai nativi della California rappresentava circa il 35% della dose letale.