USA. Leggi più repressive sulla marijuana non portano a ridurne consumo disponibilità o qualità
Secondo la ricerca commissionata dall’American Civil Liberites Unione ed eseguita dall’Università di Washinghton, l’inasprimento delle pene per il possesso della cannabis non porta ad una riduzione del consumo, disponibilità o qualità della stessa. “L’aumento degli arresti per possesso dimostra che il proibizionismo non funziona. Malgrado gli arresti, è calato il prezzo della marijuana, mentre la potenza è aumentata. Nell’ultima decade è aumentato il consumo”, si legge nella relazione.
“Circa il 50% degli arresti per droghe eseguiti dal 1992 sono connessi alla marijuana, con una grande percentuale di afroamericani. I costi sociali dell’attuale politica sono molti alti, così come si vede una riduzione di alcuni diritti civili, l’affollamento dei tribunali, le razziali disparità di trattamento rispetto alle origini degli arrestati. Tutto ciò mina la fiducia degli accusati per il sistema giudiziario”.
Di contro, il rapporto rivela che la decriminalizzazione del possesso di piccole quantità di marijuana non conduce ad un aumento del consumo e dei crimini connessi alla sostanza. “Non ci sono prove che la decriminalizzazione avvenuta in alcuni Paesi sia stata la causa dell’aumento del consumo e dei crimini. Diversi studi rivelano che l’inasprimento minimo delle pene ha un impatto minimo sul tasso di consumo, e che la decriminalizzazione in alcuni Stati non aumenta il consumo”.