Un’italiana ai vertici della canapa europea
«Finalmente anche gli italiani avranno voce nei temi che si stanno affrontando in Europa: dal THC negli alimenti, alla regolazione del CBD, passando per infiorescenze ed i mercati della fibra e del canapulo».
È questa la prima dichiarazione di Rachele Invernizzi, imprenditrice della canapa italiana e Ceo di South Hemp, nonché vicepresidente di Federcanapa, che è di recente approdata nel direttivo dell’EIHA, l’European Industrial Hemp Association.
«Potremo dire la nostra a livello internazionale perché l’EIHA rappresenta l’Europa, ma comprende anche altri Paesi come l’America del Nord e del Sud, Australia, Sudafrica, Giappone e Cina. Insomma, daremo visibilità alla canapa italiana in tutto il mondo. In questo modo saremo anche in Comunità Europea con l’appoggio di un’associazione forte».
Fino ad oggi a livello europeo la facevano da padroni i francesi ed i tedeschi…
Sì, i francesi per ciò che riguarda seme, coltivazione e bioedilizia, mentre i tedeschi per ciò che riguarda il food che arriva dalla Cina e che veicolano in Europa.
E gli olandesi per quanto riguarda macchinari e trasformazione…
Soprattutto trasformazione. Avendo un’azienda come Hempflax che è partita 17 anni fa con grandi capitali ed essendo ai tempi quasi l’unica sul mercato, oggi hanno una qualità sugli impianti e sui prodotti nettamente superiore al resto dell’Europa; il presidente dell’EIHA è Mark Reinders, che è olandese.
Tornando all’Italia come vedi la situazione ed il fermento per le infiorescenze?
Sono preoccupata perché noi facciamo un’agricoltura classica con dei valori differenti rispetto ai mercati odierni dell’infiorescenza. Credo si un momento particolare che si calmiererà in futuro: chiediamo al governo che il settore venga regolamentato ed osservato. L’infiorescenza andrebbe considerata all’interno di 4 diversi settori merceologici: il mercato delle estrazioni di CBD e quindi con finalità mediche, cibo e bevande, il settore cosmetico e poi la cannabis light, chiaramente con qualità e perciò valori di mercato differenti.
Sulle filiere che mancano in Italia, come quella tessile e della carta, come vedi la situazione?
Siamo pronti per fare qualsiasi cosa. Manchiamo un po’ a livello agricolo nel senso che negli anni non è stato creato un settore e non sono state create le filiere e se vogliamo affrontare l’argomento bisogna aver presente che parte tutto dall’agricoltura e dagli agricoltori. Innanzitutto bisogna ottimizzare le rese e la direzione che si vuole prendere: nel 2017 la stima è che siano stati coltivati 2700 ettari, ma cosa è stato prodotto? Dove sono finiti? Chi ritira la materia prima? In questo modo non si può creare un mercato che abbia una prospettiva di crescita equilibrata.
L’urgenza primaria è quella di creare filiere agricole serie dove viene ritirato il prodotto in modo da dare una risposta all’agricoltore, altrimenti non avremo mai una produzione stabile. E senza una produzione stabile non ha senso parlare di filiere ed impianti. South Hemp tecno ha bisogno di 2/4mila tonnellate di materiale: non ha senso aprire altri centri di trasformazione entro i 500 chilometri, visto che non siamo ancora arrivati a regime.
Per il coltivatore il tuo consiglio è quello di partire con piccoli appezzamenti?
Per me vale l’idea di coltivare un ettaro alla volta. Almeno la gente impara senza buttare soldi e rimanere delusa e quando ci saranno gli impianti che avranno bisogno di tanta paglia nei diversi territori avremo anche agricoltori già capaci. Bisogna fare le cose bene ragionando su quali siano le soglie per il break even degli investimenti sugli impianti, se no il mercato non sta in piedi. Se io ti insegno a fare canapa e tu impari bene partendo da un ettaro, poi è fatta. Un ettaro fatto bene quest’anno viene ripetuto l’anno prossimo in modo da portare l’agricoltore a reddito; poi se hai 100 ettari si può pensare di espandere la coltivazione. La canapa non è il grano e non sono le leguminose: è una pianta che va trattata a sé nei modi corretti.
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