Antiproibizionismo

Un’estate di proibizionismo, paura e morte

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Ancora una volta, alle parole di Paolo Ferrero non hanno fatto seguito i fatti. L’eterna discussione che, da molti mesi, è in corso fra i ministri interessati, non è arrivata, come era stato preannunciato, a una conclusione entro l’estate. Del fantomatico Ddl che sarebbe stato predisposto dal ministro, così come delle tanto discusse linee guida, non si è vista traccia.

Non è cambiato nulla, verrebbe da commentare. Ma questa sarebbe, a parere di chi scrive, un’analisi profondamente sbagliata. Prima di tutto, perché il mantenere in vita una legge come quella attualmente in vigore in materia di sostanze stupefacenti contribuisce, giorno dopo giorno, ad aggravare una situazione da tempo non più governabile, ma anche perché il clima in cui ci troviamo – sia in termini di informazione, sia nel sentire comune – è profondamente mutato. In peggio.

Per questo, apprendere dal titolare del dicastero della Solidarietà sociale, in occasione della presentazione della Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze, che a suo giudizio «la cosa da fare» è «ricostruire la PAURA di queste sostanze» (dichiarazione rilasciata l’11 luglio al Tg3), non soltanto lascia esterrefatti (il peggior Giovanardi non avrebbe saputo esprimere una considerazione più infelice), ma mette addirittura i brividi se si pensa a cosa, negli stessi giorni, sta accadendo nel Paese.

Sono sempre più frequenti i casi di sostanze adulterate o tagliate: dalla marijuana alla cocaina, più sono diffuse e più sono devastanti gli effetti di queste alterazioni (non solo, banalmente, perché riguardano un elevato numero di persone, ma anche perché persino una singola assunzione può portare a conseguenze irreversibili). Se è certamente vero che il fattore determinante di questa condizione è da ricercarsi proprio nella deleteria azione di una politica proibizionistica che finora è riuscita solamente a produrre danni ben peggiori di quelli imputabili alle sostanze che pretende di combattere, non si può non considerare come le uniche risposte che arrivano – unanimemente, dalla maggioranza e dall’opposizione – facciano leva su un approccio terroristico che utilizza strumentalmente i più drammatici casi di cronaca come unico deterrente, nel vano tentativo di arginare ciò che, ormai, non è più arginabile.

Piuttosto che tentare di garantire una corretta informazione, consentendo a ciascuno di valutare i rischi che possono derivare da una certa condotta, si sceglie di agitare le acque in modo da renderle ancor più torbide. Anziché tutelare la salute dei cittadini (tutti i cittadini, compresi coloro che fanno uso di sostanze stupefacenti) assicurando la possibilità di analizzare il contenuto di ciò che si apprestano ad assumere, si sceglie – in ragione di un cinico moralismo – di condannare a morte una parte di loro, lasciando che sfidino la fortuna in una sorta di roulette russa.

Se qualcuno avesse voglia di realizzare allo scopo una seria indagine statistica, scoprirebbe con ogni probabilità che i decessi determinati delle sostanze considerate illegali (comprese quelle pesanti) sono molto pochi se confrontati con il totale delle vittime, dirette e indirette, del proibizionismo. Non si tratta esclusivamente di persone poco prudenti che introducono nel proprio organismo sostanze letali. A questi vanno aggiunti anche tutti coloro che, in un modo o nell’altro, vengono stritolati dalla morsa generata da una legislazione partorita esclusivamente per lavare in superficie alcune (poche) coscienze – garantendo, allo stesso tempo, enormi profitti alla criminalità organizzata – che si incontra con un sistema mass-mediatico pigro e perverso, nel quale è quasi del tutto assente il pur minimo residuo di quella deontologia professionale a cui dovrebbe fare riferimento una classe giornalistica ormai non più degna di questo nome.

Tutto ciò fa sì che, ancora una volta, un giovane consumatore di cannabis (denunciato e poi sputtanato dalla stampa locale, che ha esposto la sua storia con clamore inusitato) sia portato a farla finita, non sopportando il peso di quell’infamia. Come già era accaduto nel 2005 a Pantelleria, ora accade nuovamente a Castrocaro. Non è un caso che si tratti di due piccoli centri urbani di poche migliaia di abitanti. Eppure, c’è un sottile filo rosso che congiunge Pantelleria a Castrocaro: non si tratta di un legame geografico, quanto, piuttosto, di una continuità storica, che si manifesta con conseguenze drammaticamente prevedibili e, proprio per questo, ancor più insopportabili.

Un elemento cruciale, in questo senso, è costituito dall’assoluta e diffusa deresponsabilizzazione. Fatto, questo, che non consente nemmeno di ipotizzare che dei cambiamenti profondi e sostanziali, a cominciare dal sistema di regole che governano ogni nostra attività, possano intervenire nella società in cui viviamo e operiamo.

A tale proposito – cercando possibilmente di lasciare per un attimo da parte ogni simpatia o antipatia, politica o personale, precostituita – si pensi a quante cose sarebbero diverse, anche nella vita di tutti i giorni, se chi ci governa avesse mantenuto, responsabilmente, le promesse fatte prima delle ultime elezioni politiche. Ciascuno di noi potrà certamente fare una rapida lista. C’è almeno una persona, però, che questo non può farlo perché è finita in quella morsa a cui facevo riferimento sopra. Questo accadeva 495 giorni dopo l’entrata in vigore della legge 49/2006 e ben oltre un anno dopo l’insediamento del governo Prodi.

Ora, di fronte a questa persona che non c’è più, hanno una responsabilità più grande Berlusconi, Fini e Giovanardi, che quella legge l’hanno voluta e approvata, o l’Unione e il governo Prodi – il ministro del Prc in primis – che quella legge hanno sempre dichiarato di non volerla, al punto da impegnarsi ad abrogarla nei primi cento giorni del loro mandato (salvo poi fare l’esatto opposto)? Lascio al lettore questa valutazione, non sentendomi in dovere (né, tantomeno, in diritto) di pronunciare alcuna sentenza in tal senso.

È triste, però, dover sopportare, oltre a tutto questo, anche la retorica di chi – avendo scelto far prevalere ad ogni costo l’interesse della propria fazione, nonché il proprio tornaconto personale – non perde l’occasione di martirizzare anche questa vittima facendone una bandiera (rossa) in attesa di poterla sventolare alla prossima manifestazione o, come già è accaduto, in occasione della prossima campagna elettorale.

Marco Contini
Segretario dell’Associazione Politica Antiproibizionisti.it

TG DV


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