Una notte a Doha, prima della guerra (15/16 marzo 2003)
Sull’aereo che da Colombo, in Sri Lanka, mi riporta in Italia sono assorto a leggere il giornale di bordo della tentando di prendere più informazioni possibili sulla città di Doha. Motivo? A causa di uno scalo di diverse ore nella capitale del Qatar, ho proposto ai miei compagni di viaggio d’ingannare la lunga attesa che ci attendeva all’aeroporto non con le solite interminabili partite a carte, ma visitando la città, pur con poco tempo a disposizione e di notte. Detto, fatto! Capitiamo a Doha nel bel mezzo della crisi irachena. Gli americani hanno allestito, fin dal 6 marzo, nella base di As Sayliyah, il proprio quartier generale. E’ anche per questo che decidiamo di visitare la capitale dello stato arabo, che riveste un ruolo importante nello scacchiere politico di questa delicata area che è il Golfo Persico.
Il Qatar, infatti, non è certo una meta turistica. Date le sue modeste dimensioni non ha molto da offrire al viaggiatore tanto che ha iniziato a rilasciare visti turistici soltanto a partire dal 1989 e solo di recente la monarchia assoluta ereditaria, che è al governo, ha deciso d’aprirsi ad un turismo d’élite. Durante il disbrigo delle formalità doganali veniamo separati; gli uomini da una parte e le donne dall’altra. Io e Cece, tanto quanto Mavi e Ila, siamo accuratamente perquisiti. A me requisiscono una bottiglia di vino, ma finalmente usciamo dall’aeroporto. Soffia un inaspettato e fastidioso vento, un infausto preavviso dei venti di guerra che saranno.
Quattro giorni più tardi scoppierà la nuova guerra del Golfo. Noleggiamo un taxi per un paio d’ore. Consegno all’autista il foglio con l’itinerario annotato (in inglese) sull’aereo: Corniche, Qatar National Museum, Tower O’Clock, Big Mosque, Al-Sadd Plaza, Shebestan Palace Restaurant, Doha Sheraton Hotel, Aljazeera T.V. Imbocchiamo la strada che percorre per intero la Corniche, una baia a mezza luna in cui brillano, nel buio le luci dei lussuosi hotel che la costeggiano.
Abbandoniamo il lungo mare per dirigerci al Qatar National Museum, non per visitare le preziose collezioni che conserva, ma per osservare l’edificio che fino al 1949 fu residenza dello sceicco Abdullah Bin Mohamed. Proseguiamo verso il centro della città alla volta della Tower O’Clock, della Big Mosque e di Al-Sadd Plaza. A questo punto il nostro autista ci vieta di scendere, alla domanda “why no possible?”, fermato il taxi ai bordi della strada, ci spiega che la zona di notte è malfamata ed inoltre, con i tempi che corrono, i turisti occidentali non sono tanto ben visti dalla popolazione. Non sappiamo cosa pensare. Il Qatar, dal punto di vista sociale è piuttosto affidabile. Per esempio l’istruzione e la sanità sono gratuite, le case costano poco o niente, il lavoro non manca. Sarà, allora, proprio per via della guerra? Stando a quanto scrivono i giornali il popolo del Qatar non è d’accordo con la scelta del proprio governo di schierarsi a favore degli americani.
Siamo tentati di chiedere al tassista la sua idea in proposito ma desistiamo per evitare ulteriori tensioni. L’impressione, però, è che nella capitale del Qatar il conflitto sembri già essere scoppiato e che qui più che altrove sia vissuto come uno scontro tra occidente ed islam. Guardandoci attorno restiamo colpiti dall’abbigliamento degli uomini, i quali vestono tutti nella maniera tradizionale, cioè indossando una tunica lunga fino ai piedi, rigorosamente bianca, con in testa il kafiyyeh, il tipico fazzoletto arabo (rosso e bianco, nero e bianco o completamente bianco), e la ‘iqal, la corda nera usata per fissarlo al capo. Notiamo per strada l’assoluta assenza di donne. Siamo in un paese arabo tra i più conservatori. Basti pensare che solo nelle elezioni del ‘99 le donne hanno votato per la prima volta.
Continuiamo il nostro tour notturno e questa volta è solo la sfortuna ad impedirci di vedere lo Shebestan Palace Restaurant, in quanto chiuso. Il ristorante, nel cuore della città, è famoso non soltanto per la cucina, ma per la sua architettura persiana, tanto da essere diventato una meta turistica, come il Doha Sheraton Hotel. Passando tra gli enormi ritratti del capo di stato, l’emiro Sheikh Hamad Ibn Khalifa Al –Thani, prima di arrivare al Doha Sheraton, riprendiamo la Corniche al termine della quale si trova il celebre hotel. Si distingue, fin da lontano, per la sua spettacolare architettura piramidale. Una notte in suite in quest’hotel costerebbe quanto l’intera vacanza che abbiamo appena trascorso in Sri Lanka!
Per terminare il nostro tour manca soltanto la visita alla TV AlJazeera, ribattezzata la CNN araba. Di nuovo, il tassista si rifiuta di fermarsi, a suo dire l’emittente, divenuta famosa per aver trasmesso le immagini di Osama Bin Laden dopo l’11 settembre, è un obiettivo a rischio attentati. Ora, l’impressione avuta poco prima diventa realtà: in Qatar il conflitto, visto come opposizione tra il mondo occidentale e il mondo arabo, è metaforicamente già scoppiato.
Ritornati all’aeroporto decidiamo di andare all’immancabile McDonald’s. Scopriamo che il panino “McArabia” esiste davvero, ma, soprattutto, all’interno vediamo tre donne completamente coperte con il tipico manto nero islamico. Il contrasto dei loro rigorosi abiti scuri stride con i colori sgargianti del locale. Ci accorgiamo di quanto le nostre società siano differenti e ci sentiamo quasi dei profanatori. E’ giunta l’ora di ritornare. Facciamo check-in, mi restituiscono la bottiglia di vino sequestrata all’uscita e ora…, ora sì, purtroppo, il viaggio è davvero finito.
Adriano Socchi