Un nuovo report svela i legami delle multinazionali con l’industria petrolifera
Quando si parla di emergenza ambientale non sempre viene dato il giusto peso al ruolo delle multinazionali e delle loro attività. “The Climate Emergency Unpacked: How Consumer Goods Companies are Fueling Big Oil’s Plastic Expansion”, report recentemente pubblicato da Greenpeace USA esplora la correlazione tra le operazioni di compagnie come Coca-Cola, PepsiCo e Nestlè e la crescita della produzione di plastica monouso, esponendo i legami tra diversi colossi internazionali del business e l’industria dei combustibili fossili, principale produttrice delle plastiche utilizzate quotidianamente. Secondo il documento redato dalla ONG statunitense, multinazionali e industrie di fonti fossili avrebbero infatti per anni segretamente lavorato fianco a fianco nella promozione dei tradizionali metodi di riciclo, facendo però una forsennata opposizione a qualunque proposta di legge che implementi realmente la riduzione dell’uso della plastica.
“È chiaro come il riciclo delle plastiche monouso non possa risolvere il problema dell’inquinamento da plastica” afferma il report, “Il suo utilizzo è in realtà un diversivo messo in atto dalle industrie per allontanare l’attenzione dai cambiamenti sistematici necessari”. Le multinazionali citate nel documento sono moltissime, come Coca-Cola, che ogni anno produce circa tre milioni di tonnellate di plastica, Danone, Nestlè, Colgate- Palmolive e Mars Incorporated, tutte operazioni con stretti legami con i massimi esponenti mondiali dei combustibili fossili, tra cui Shell, ExxonMobil, Dow, Ineos e Chevron Phillips. La ExxonMobil nello specifico è la più grande produttrice di plastica a livello globale, in quantità che si avvicinano ai sei milioni di tonnellate ogni anno, seguita da Dow Chemical e dalla cinese Sinopec, principale gruppo petrolifero del Dragone Rosso nonché seconda azienda per fatturato al mondo.
Secondo Greenpeace USA, il ritrovato impegno delle multinazionali citate nel documento nell’ambito del riciclaggio sarebbe una mera copertura di un palese fallimento nell’attuazione di misure effettivamente in grado di ridurre la dipendenza degli attuali processi industriali dalle plastiche monouso, un fallimento che “sta aiutando l’industria dei combustibili fossili a mettere in atto il proprio piano per aumentare la produzione di plastica”.
Le accuse della ONG non sono però rivolte esclusivamente alle singole aziende, ma anche verso gruppi industriali. Le critiche più dure sono rivolte in particolare alla statunitense Plastic Industry Association (PLASTICS), accusata di aver fatto lobbismo a favore di proposte di legge che impedissero ai governi locali di vietare l’utilizzo di buste di plastica, e ai gruppi American Chemistry Council e The Reciclying Partnership, che da anni chiedono maggiori investimenti nel settore del riciclo ma che hanno negato il proprio supporto all’introduzione di una normativa statale che imponesse alle multinazionali un deposito rimborsabile sulle bottiglie di plastica.
I dati forniti dal report sono particolarmente preoccupanti se si prende in considerazione il ruolo delle plastiche monouso nell’evoluzione della crisi climatica. Secondo recenti studi, in mancanza di interventi realmente efficaci, la produzione di plastica potrebbe infatti triplicare entro il 2050, portando a un aumento delle emissioni pari al 50% entro il 2030, una prospettiva che rischia di mettere ulteriormente a rischio il già delicato equilibrio climatico attuale.