Un filtro solare per raffreddare la Terra (no, non chiamatele scie chimiche)
Nel corso dell’ultimo decennio si è spesso accesa, soprattutto all’interno dei social network e sui blog, la disputa concernente l’esistenza o meno delle scie chimiche. Una sorta di operazione di geoingegneria portata avanti a livello globale attraverso l’uso di aerei militari e di linea che diffonderebbero nell’aria sostanze chimiche di svariata natura, una ipotesi cresciuta intorno a speculazioni poco scientifiche sulle normali scie di condensa generate dagli aerei.
All’Università di Harvard però le teorie “complottiste”
sembrano essere servite come fonte di ispirazione per il progetto ScoPEx (Stratospheric
Controlled Perturbation Experiment) che proprio attraverso le “scie chimiche”
si propone di salvare il mondo dal riscaldamento
globale.
Il progetto ScoPEx prende spunto dall’osservazione del fatto che l’anidride
solforosa espulsa e diffusa in atmosfera nel corso delle più grandi eruzioni
vulcaniche avvenute sul nostro pianeta è stata in grado di ridurre, sia pure di
poco, la temperatura terrestre per tempi relativamente lunghi. La grande
eruzione del Monte Pitunabo ad esempio, avvenuta nel territorio delle Filippine
nel 1991 e considerata per potenza la seconda più grande di tutto il ventesimo
secolo, immise in atmosfera circa 20 milioni di tonnellate di anidride
solforosa, con il risultato di provocare una diminuzione della temperatura
terrestre di 0,5 gradi per la durata di 18 mesi.
Fino ad oggi gli scienziati che stanno studiando la questione non sarebbero mai andati oltre alle simulazioni di laboratorio, ma con il progetto ScoPEx l’intenzione è quella di passare dalla teoria alla pratica, per verificare attraverso esperimenti su piccola scala le reali potenzialità di un approccio di questo genere al problema del riscaldamento globale.
La prima fase dell’esperimento potrebbe iniziare già prima della fine del 2019 e per il momento non prevede l’uso di aerei, bensì di un pallone aerostatico da ricerca associato a una sonda munita di eliche, che verrà lanciato nella stratosfera dal New Mexico, con lo scopo di rilasciare 12 chilogrammi di polvere di carbonato di calcio all’interno di un’area lunga un chilometro e larga 100 metri e poi rilevare attraverso tutta una serie di sensori gli effetti determinati dall’operazione.
Se i risultati fossero incoraggianti, gli scienziati impegnati nell’esperimento e perfino quelli appartenenti all’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ritengono che non sarebbe così difficile e neppure costoso (le stime non superano i 10 miliardi di euro l’anno) sostituire il pallone con una flotta di aerei con il compito di diffondere in atmosfera a livello globale milioni di tonnellate di carbonato di calcio, con lo scopo di fare diminuire progressivamente l’irraggiamento solare e di conseguenza la temperatura del pianeta.
Anche sorvolando sul cortocircuito logico (riguardante la geoingegneria nel suo complesso) dell’uomo che vanterebbe la presunzione di risolvere attraverso la tecnologia proprio quei problemi che lui stesso con la tecnologia ha contribuito a ingenerare, non si può nascondere il fatto che un progetto come quello dell’università di Harvard desti più di qualche perplessità e faccia anche un poco paura, dal momento che si tratterebbe di un’operazione dai costi abbordabili e realizzabile in tempi brevi, pertanto estremamente appetibile per chi incautamente intendesse “giocare” ad essere Dio.
Nonostante il progresso tecnologico negli ultimi decenni sia stato notevole, la nostra conoscenza dei meccanismi che regolano il clima è ancora estremamente particellare. Non sappiamo (e non saranno sicuramente esperimenti su piccola scala come ScoPEx a dircelo) quali possano essere le interazioni in atmosfera di sostanze chimiche rilasciate in grandi quantità, anche qualora si tratti di elementi apparentemente innocui come il carbonato di calcio.
Non sappiamo quali possano essere gli effetti di una eventuale diminuzione dell’irraggiamento solare sui raccolti e sui delicati equilibri degli ecosistemi che già oggi versano in stato di grave sofferenza.
Non sappiamo come una variazione dell’irraggiamento solare possa interagire con i venti, con i fenomeni climatici, con la loro distribuzione e la loro potenza.
L’unica cosa che invece sappiamo con certezza, ed è opinione unanime anche del mondo scientifico, è che operazioni di geoingegneria di questo genere, qualora condotte a livello globale, sarebbero di carattere irreversibile e risulterebbe pertanto impossibile tornare indietro.
Ecco forse proprio su questo punto, più di ogni altro, occorrerebbe soffermarsi a riflettere prima di prendere ogni decisione.