Ultima gaffe normativa (e forse governativa) sull’art. 73
Il Dipartimento Politiche Antidroga (DPA) e il Ministero di Giustizia ignorano la sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 che ha annullato le modifiche della legge Fini-Giovanardi all’art. 73 e alle tabelle del DPR 309/1990. Desidero segnalarvi il testo riportato sulla sezione normativa del DPA del D.P.R. 309/1990, e vi chiedo di leggerlo attentamente. Come potrete constatare l’art. 73, attualmente in vigore a seguito della sentenza della Consulta e del DL 36/2014, risulterebbe, secondo il DPA, quello introdotto dalla legge Fini-Giovanardi!
Il testo coordinato del ministero non solo non facilita alcunché, ma crea una pericolosissima confusione. Si tratta di un clamoroso quanto inaccettabile errore degli uffici governativi e dello stesso ministero di Giustizia. Il testo dell’attuale art. 73 è, invece, costituito da quello originario (L. 162/90, Jervolino-Vassalli) che comprende le modifiche della L. 79/2014 (comma 5 e la reintroduzione del comma 5 bis).
Né il ministero di Giustizia, né il DPA, si sono premurati di pubblicare in rete il testo corretto, mantenendo, invece, quello che pare una vera e propria arlecchinata giuridica di cattivo gusto. La rappresentazione che i due enti offrono della normativa vigente, in modo palesemente erroneo, appare gravissima forma di disinformazione, perché è preciso dovere di un organo di emanazione governativa quella di fornire un’informazione aggiornata e corretta delle modifiche legislative intervenute.
Ciò che maggiormente allarma e suscita “cattivi pensieri”, è la circostanza che le note riportate in calce alla norma sotto i due testi del Governo danno atto dell’intervenuta incostituzionalità della norma, che, invece, viene riprodotta sostanzialmente nella struttura non più vigente.
Viene proposto un comma 1 con una pena da 6 a 20 anni in luogo di quella da 8 a 20 anni (oltre multa) per le sostanze in tabella I. Viene contemplato il comma 1 bis, che non esiste più e che è stato trasferito all’art. 75. Viene indicato un comma 4 (che riguarda i medicinali previsti in tabella II sez. A,B,C, D ed è stato abrogato) e, quindi non c’entra nulla con il comma 4 che invece regola la disciplina penale delle sostanze inserite nelle tabelle II e IV e che prevede pene differenti. Invece assai strana appare la massima tempestività con cui il DPA riporta le novità introdotte dalla L. 79/2014 che converte il DL 36/2014 e cioè i commi 5 e 5 bis .
Che dire dunque di questa stupefacente scoperta? Taluno ha letto il testo legislativo “patacca” – perché di vera patacca giuridica si tratta – e naturalmente si è allarmato, perché una lettura del testo in rete induce in maniera fuorviante a ritenere che l’intervento della Corte Costituzionale sia stato vanificato sul piano legislativo (con il Dl 36/2014), oppure sia stato malamente interpretato dai commentatori.
In realtà, siamo dinanzi ad un fenomeno che pare difficile catalogare come un errore scusabile. Esso è assai grave e si pone a mezza via tra la cattiva gestione pubblica, per omissione dovuta da insipienza degli organi preposti, e il sospetto che si tratti di vera e deliberata disinformazione.
Relativamente al sito del DPA, osservo che non è concepibile che un ente pubblico, che si avvale di numerosi consulenti giuridici qualificati, non abbia sottoposto il testo pubblicato al controllo di nessuno di costoro ed abbia superficialmente diffuso in rete un testo normativo abrogato, spacciandolo per vigente.
Idem per il ministero di Giustizia. Ad oggi si sono avute solo risposte vaghe ed infastidite che nulla spiegano. Nel frattempo il sito del DPA e la Gazzetta Ufficiale riportano testi errati. Per quanto ancora?
ART. 73 REALMENTE VIGENTE
1. Chiunque senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 e 76, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14, è punito con la reclusione da 8 a 20 anni e con la multa da €25.822 a €258.228.
2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’art. 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nel comma 1, è punito con la reclusione da 8 a 22 anni e con la multa da €25.822 a €309.874.
3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.
4. Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’art. 14, si applicano la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da €5.164 a €77.468.
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa da €1.032 a €10.329.
5-bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.
5-ter. La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad 1 anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.
6. Se il fatto è commesso da 3 o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.