Uber tra sfruttamento e lobbying occulto: svelati gli “Uber Files”
Tra il 2013 e il 2017 Uber ha fatto pressione diretta sui leader mondiali, Renzi compreso
Nel periodo della sua espansione dal 2013 al 2017, il colosso dei trasporti in auto (e non solo) Uber avrebbe infranto leggi, eluso il fisco e praticato lobbying su politici e magnati, specialmente nel settore dei media, oltre ad aver spiato e sfruttato i driver. È quanto emerge dagli “Uber Files”, un insieme di documenti ottenuti dal Guardian tra mail, messaggi, presentazioni aziendali e altro.
La compagnia a quei tempi era guidata dal co-fondatore Travis Kalanick, ma la gola profonda che ha parlato col quotidiano britannico è Mark McGann, ex responsabile del lobbying per Uber in Europa. “La responsabilità è in parte mia”, ha detto. “Ero io che parlavo con i governi e facevo pressione mediatica, cercando di convincere a cambiare le regole perché sarebbe stato un bene per gli autisti e i clienti. Ma stavamo vendendo una bugia alla gente”.
“LA VIOLENZA AIUTA”
Nel 2015, ad esempio, la protesta contro Uber raggiunge il suo apice in Francia, i tassisti sono contro la concorrenza sleale della compagnia. Ma le proteste, i blocchi stradali, persino le aggressioni agli autisti Uber non spaventano McGann, che in una mail scrive: “Va bene così, la violenza porta al successo”. Nell’ottobre del 2015 UberX è sul punto di essere sospeso in Francia, ma McGann scrive a Macron e magia, il bando scompare.
Nel periodo più caldo in cui in diversi paesi, Italia compresa, Uber è finito sotto attacco, sono stati previste guardie del corpo per i dirigenti e lavoro da remoto per gli uffici, ma nessuna forma di tutela per gli autisti, che Uber non considera dipendenti. Anzi, dallo scambio di mail e messaggi emerge che le aggressioni fisiche ad auto e guidatori di Uber venivano viste come una cosa buona dall’azienda, perché potevano essere usate per fare pressione sui governi a favore di Uber stessa.
OPERAZIONE RENZI
I file svelano almeno un centinaio di incontri segreti tra lobbisti di Uber e politici, compresi membri della Commissione Europea. L’Espresso, media partner dell’inchiesta del Guardian, rivela che in Italia Uber aveva puntato direttamente a Matteo Renzi, che in quel periodo era Presidente del Consiglio. Con il nome in codice “Italy – Operation Renzi”, si legge di un vero e proprio corteggiamento da parte di Uber nei confronti dell’allora premier, che viene definito “un grande sostenitore di Uber”. Per avvicinarlo venne coinvolto John Phillips, allora ambasciatore USA a Roma.
Carlo De Benedetti, azionista di Uber fino al 2020, ha ospitato una cena con McGann e David Plouffe, organizzatore della campagna presidenziale di Obama nel 2008 e poi assunto da Uber. L’Istituto Bruno Leoni, che ha ispirato le norme a favore di Uber nel ddl Concorrenza, ha ricevuto dall’azienda statunitense 20 mila euro tra il 2014 e il 2015, e 12.500 euro nel 2017.
Uber ha ammesso di aver commesso degli errori in quel periodo, rispondendo ufficialmente a quanto emerso dall’inchiesta. Tuttavia, l’azienda sostiene di non voler trovare scuse per comportamenti sbagliati del passato, ma di considerare quanto fatto negli ultimi cinque anni sotto la guida del nuovo CEO Dara Khosrowshahi, che lo scorso anno dichiarava come tra i prossimi business di Uber ci sarà anche la consegna di cannabis a domicilio.