Tunisia: tre ragazzi condannati a 30 anni per una canna, scoppia la protesta nelle strade
Tre giovani tunisini sono stati condannati per aver fumato uno spinello. I tre sono stati condannati dal tribunale di Kef, una città montuosa nel nord-ovest del paese, il 20 gennaio scorso, dopo essere stati scoperti dalla polizia mentre consumavano cannabis allo stadio.
“Uno degli imputati, la guardia dello stadio in questione, ha nascosto una quantità di cannabis negli spogliatoi e i tre imputati hanno consumato questi materiali narcotici in questo stabilimento sportivo” , ha affermato il portavoce del tribunale al quotidiano La Presse. Sottolineando che l’articolo 11 della legge 52 impone, in questo caso, l’applicazione della pena massima, trattandosi di consumo in un luogo pubblico. Secondo l’articolo 11 di questa legge, “la pena massima sarà pronunciata contro chiunque abbia commesso uno dei reati di cui sopra in uno dei seguenti luoghi pubblici: moschee, hotel, caffè, ristoranti, giardini pubblici, istituzioni amministrative, aria o porti marittimi, stadi
Dopo aver appreso della sentenza centinaia di persone hanno improvvisato una manifestazione contro lo “stato di polizia” e la legge sulle droghe ancora in vigore nel paese dai tempi della dittatura di Ben Ali.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, il 53% dei detenuti in Tunisia si trova in carcere per reati legati alla droga. La legge 52 venne approvata nel 1992 con l’obiettivo di mettere in pratica la tolleranza zero verso i consumatori di zatla (come in Tunisia viene chiamato l’hashish), che tradizionalmente rappresentano una larga fascia della popolazione. L’art. 4 della legge punisce chiunque detenga, anche in modiche quantità, sostanze o piante stupefacenti con la reclusione e con pena pecuniaria accessoria da 500 a 1.500 euro. L’art. 8 addirittura punisce con il carcere da sei mesi a tre anni e a una ammenda da mille a cinquemila dinari chiunque frequenti un luogo nel quale si consumano stupefacenti. Pene severissime che negli anni hanno reso la Tunisia, secondo molti attivisti locali, una “prigione civile”.