Thanra sà, un racconto animalista ed una canna di troppo
Thanra era stanca e la proboscide le bruciava dall’arsura. La sete l’aveva accompagnata per tutta l’ultima settimana, oltre che per tutta la vita. Era strano che solo oggi, proprio oggi, nel giorno del passaggio, Thanra realizzasse appieno che la sete l’aveva accompagnata nell’arco della sua intera esistenza, stimolandola, sostenendola, tormentandola e perseguitandola, rendendola però forte e pacata, continuando a ricordarle che la vita è solo un passaggio, che l’esistenza di ogni essere vivente è precaria, legata a volte a poche gocce d’acqua, a volte alla benevolenza delle forze della natura. La sete l’aveva aiutata a non scordare che la morte è nostra compagna e divide con noi la luce del sole proiettando al suolo un’ombra che ci segue ovunque, ricordandoci di vivere profondamente ogni esperienza terrena, perché è unica ed effimera.
Thanra guardò il vecchio uomo.
Il vecchio uomo era nervoso, era chiaramente eccitato e la presenza di Thanra costituiva un avvenimento sperato, pensato, atteso, pianificato ed organizzato da tempo. Era sicuramente la realizzazione di un vecchio sogno. Thanra lo poteva leggere tra le rughe sulla fronte del vecchio. E tra le rughe del volto lesse tante storie che il vecchio aveva vissuto, sentì molte voci e rumori risuonarle nelle grandi orecchie, rumori che raccontavano la storia di quel vecchio triste e solo. Thanra “sentiva” le cose e questo la aveva resa famosa nel branco. Dapprima, da giovane, la cosa le aveva creato problemi. Poi, con il tempo e l’esperienza, i suoi istinti e le sue intuizioni si rivelarono un dono del cielo. Più volte aveva sfidato il capo branco indicando la via per l’acqua oppure evitando passi e zone che lei “sapeva” pericolose. Gli altri avevano allora incominciato a capire che le sue capacità di “sapere” e di “vedere” erano al servizio del branco e che di Thanra bisognava fidarsi, perché era meglio così. E ora Thanra, sola in quella radura arida e bruciata dal sole, “sentiva” che il vecchio era solo e disperato. Il vecchio voleva uccidere un elefante e la vecchia canna del fucile che lui così spesso aveva lucidato e con la quale aveva parlato nei momenti migliori e peggiori della sua vita, lo stava chiamando. La canna del fucile lo chiamava e gli diceva che poteva e doveva uccidere subito quel vecchio elefante, perché era questo che era venuto a fare, così lontano dalla sua fredda terra. Ma il vecchio ora si sentiva confuso, stanco, ansioso ed inoltre aveva seri problemi con il suo vecchio intestino, come sempre, ed aveva problemi con la sua anima, che si dibatteva con l’energia di quella di un giovane uomo all’interno del suo corpo. Come se non bastasse i guardiani del parco lo avevano praticamente costretto, sghignazzando e minacciandolo di non lasciarlo entrare nel parco, a fumare quasi un’intera sigaretta di marijuana dicendo che, grazie a quella, la sua mira sarebbe stata infallibile. In realtà si stavano soltanto prendendo gioco di lui, era chiaro, ma altrettanto chiaro gli fu che se non avesse fumato quella canna, non avrebbe ucciso il suo elefante quel giorno e visto che non aveva dubbi sull’innocuità della cannabis, decise di assaggiarla, per la prima volta nella sua vita più che altro per non dover rinunciare al suo giorno speciale. Thanra sapeva che quell’uomo era molto malato e sapeva che non era una malattia come quelle che Thanra conosceva. Le malattie degli animali erano semplici ed uccidevano o portavano comunque ad una morte veloce. Le malattie che conosceva Thanra erano quelle della morte rapida, aiutata sempre dalle condizioni di vita dure e difficili che l’ambiente riservava al branco. Ma la malattia che divorava quell’uomo era una malattia fine e leggera, crudele e profonda. L’uomo era solo e disperato. Aveva perso le cose più importanti della sua vita ed ora gli rimaneva solo questo sogno avverato: un vecchio elefante che la direzione del parco aveva dichiarato “abbattibile”. Thanra sentiva che l’uomo era un po’ folle, animato da sentimenti strani, un misto del vero spirito del cacciatore, simile a quello dei carnivori predatori, ed altri sentimenti disgustosi e corrotti, come il desiderio di uccidere, slegato da un contesto di necessità. E poi Thanra sentiva che l’uomo non stava bene. Probabilmente il suo vecchio stomaco non sopportava più il cibo e non faceva più il suo lavoro all’interno di in un corpo che non funzionava più come avrebbe dovuto. A Thanra venne quasi da ridere. Non era pensabile che un essere nobile come un elefante, potesse essere ucciso da una creatura sull’orlo della follia, affogata nei problemi di un’esistenza innaturale, con l’intestino sul punto di liberarsi. Non era possibile che la nobile Thanra fosse uccisa da un infermo.
Comunque fosse, Thanra era stanca e “sapeva” che oggi era il suo giorno. Il passaggio doveva quindi avvenire per mano di quel vecchio uomo anche se la cosa poteva sembrarle comica, tragica e patetica. Thanra era stanca e rassegnata. Le sue zanne erano vecchie e gialle, e piccole fessure le attraversavano per tutta la lunghezza. Nel branco si diceva che dalle zanne di un elefante, dal loro colore e dai loro riflessi, si poteva sapere se il suo passaggio era vicino. Thanra andava oltre. Lei poteva addirittura “sapere” che quel preciso giorno un compagno sarebbe morto soltanto guardandogli le zanne al mattino. Ma di questa sua capacità non aveva mai fatto cenno ad alcuno. Neppure al suo compagno. Nessuno nel branco sapeva che Thanra poteva prevedere così esattamente la morte di un suo simile. Ed oggi Thanra si era potuta specchiare in un laghetto limpido che dopo averle dato la gioia dell’acqua, le aveva rivelato la sua fine imminente. La sete era sparita ma la consapevolezza della morte l’aveva attanagliata. Poi la corsa nell’arida spianata e di nuovo la sete che ancora la tormentava.
Ed ora questo vecchio, con il suo ridicolo fucile, una patetica smania di uccidere qualcosa ed una testa piena di confusione e di sentimenti innaturali. Ma perché diavolo non scompariva? Perché non se ne tornava alla sua casa, nel freddo e nell’abbondanza d’acqua? E perché non dava sollievo a quel suo vecchio intestino? Ma Thanra si disapprovò e si sentì indegna del momento poiché si era lasciata trascinare dalla rabbia e dal disprezzo. D’altronde qualcosa di nobile doveva esserci anche nell’anima di quel vecchio solo, che forse una volta era stato simile agli elefanti, puro e nobile. O forse non lo era mai stato. E forse neppure gli stessi elefanti lo erano. E Thanra doveva accettare il destino che l’arida terra gialla di quella radura le aveva riservato. Il branco era lontano ma tutti loro sapevano dove Thanra era andata. La stavano pensando e lei lo “sentiva” distintamente. Sentì anche lo sforzo che alcuni di loro facevano per mascherare la consapevolezza dell’imminente passaggio di Thanra, cercando di occuparsi di altre cose. Solo i cuccioli non sentivano niente. Thanra guardò l’uomo ancora meglio. Lo fissò intensamente, direttamente nei piccoli occhi scuri, Thanra lo fissò senza alcun sentimento, semplicemente attendendo che il passaggio arrivasse. Thanra non aveva certo fretta, sapeva di essere molto vecchia, ma sapeva anche che avrebbe potuto vivere ancora un paio di anni con il branco. Forse, con il rispetto che si era guadagnata per le sue capacità di “vedere” e per il suo animo nobile e gentile, avrebbe potuto sopravvivere altri quattro anni. Ma la direzione del parco aveva bisogno di dichiararla abbattibile. Thanra trovava comico che l’uomo con il fucile sembrasse molto più ansioso di lei di arrivare al proprio giorno del passaggio. Ma Thanra doveva essere uccisa.
Il vecchio si portò la mano libera al ventre. Compresse l’addome e senti gorgogliare al suo interno. Era eccitato e stanco nello stesso tempo. Aveva molti pensieri, e poche certezze. Non capiva perché quell’animale si dovesse comportare in quel modo. Era un animale vecchio e doveva essere abbattuto. Però non sembrava rendersi conto della situazione o forse se ne rendeva conto ma sembrava provasse sentimenti trascendenti dalla semplice realtà della caccia. Quell’elefante non si innervosiva, non fuggiva e non attaccava. Non sembrava voler dare alcuna soddisfazione ad un cacciatore esperto come lui. Lo guardava attendendo e sembrava scrutarlo dentro. Il vecchio si sentì solo e sperduto su una gigantesca spianata arida che sembrava bruciare. Si sentì come una formica osservata attraverso una grande lente, sotto il sole, e sembrava che quei grandi occhi gentili lo giudicassero. Si senti frugare gentilmente al suo interno. Il vecchio non fu più sicuro di niente e vide che i colori intorno sbiadivano. Di colpo si vide attraverso gli occhi di Thanra e provò pena per se stesso ed anche un certo disgusto. Capì allora che tutto sarebbe finito di lì a poco. Guardò il suo vecchio fucile, lustro e perfettamente efficiente. Sapeva, il vecchio, che avrebbe dovuto usare l’altro fucile, quello da caccia grossa che stava posato ai suoi piedi, a fianco della cassa di legno e seppe che non l’avrebbe utilizzato. Di colpo si eresse ed afferrò il suo vecchio fucile per la lucida canna. Brandendolo come una clava si diresse verso il vecchio elefante.
Thanra subito non capì che stava succedendo. Era ancora dentro all’uomo e così manifestò i suoi sentimenti con un gesto che non era suo. Si toccò il capo con la proboscide, come a manifestare perplessità, in un gesto che non aveva nulla di naturale per un elefante. L’uomo, avvicinandosi, aveva incominciato a “sapere” che cosa stava succedendo. Il vecchio capì che l’animale era venuto in quel luogo per attendere il passaggio. “Passaggio”… questa parola si formò nella mente del vecchio come se vi fosse stata posta da qualcuno. Era una parola che il vecchio non aveva mai usato per esprimere il concetto di morte. Il vecchio continuò ad avvicinarsi, a passo lento, verso l’elefante, guardandolo, e notò un gesto della proboscide che lo fece vacillare. L’animale non capiva, era perplesso.
L’animale sembrava un uomo.
Il vecchio si sentì per la prima volta nella sua vita grande e nobile. Sentì il coraggio e la conoscenza, la saggezza e la forza. Sentì che il suo intestino era finalmente forte ma senti anche la sete, una grande sete nel suo corpo. Il vecchio “seppe”.
Thanra, dopo un attimo di smarrimento capì. Quando il vecchio fu a portata sollevò la sua pesante proboscide e la calò senza troppa forza, in quel suo gesto naturale con il quale scacciava i predatori quando si avvicinavano troppo ad un cucciolo o quando intendeva aprirsi un varco fra gli arbusti.
Il rumore delle ossa del vecchio sembrò amplificato dall’aria secca della radura. Il passaggio fu immediato. Thanra sentì la stessa cosa che aveva sentito molte volte, durante il passaggio degli animali e dei suoi simili.
Thanra si allontanò lenta, senza fretta. Il suo passaggio non sarebbe avvenuto prima di quattro anni. Lo sentiva. E mentre si allontanava sentì anche che finalmente l’anima del vecchio si era liberata, così come si era finalmente liberato il suo stanco intestino. Sentì il barrito felice del capo branco che la chiamava.
Sentì una grande sete.
Andrea Sommariva