Interviste

Teatro degli Orrori

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Torna a distanza di tre anni dall’ultimo lavoro, “A Sangue Freddo”, Il teatro degli Orrori, uno dei gruppi maggiormente rappresentativi della scena alternative rock italiana. Da pochi giorni ha iniziato il tour per promuovere il nuovo disco “Il mondo nuovo”, anticipato dal singolo “Io cerco Te”, incentrato su una serie di racconti che narrano l’immigrazione e tentano di creare un quadro dell’Italia di oggi.

Ciao Pierpaolo, il vostro ultimo album, “Il mondo nuovo”, è un disco che tratta l’immigrazione, attraverso la narrazione di storie di migranti raccontate nella loro intimità. Da cosa è nata l’idea di incentrare Il Mondo Nuovo su questo argomento?
Ciao a tutti. Innanzitutto sono convinto che l’immigrazione sia paradigmatica, cioè sia il paradigma del momento storico in cui viviamo. Quando parliamo di globalizzazione le prime parole che ci vengono in mente sono: internet e la finanziarizzazione di flussi di capitali. In realtà la globalizzazione è fatta anche di persone in carne ed ossa, ovvero i migranti che sono anche i lavoratori, perché i capitali possono circolare in tutta libertà da una banca all’altra fino alle aberrazioni della finanziarizzazione che stiamo vivendo in questi giorni, che ci impoveriscono a tutti quanti, ma in realtà la globalizzazione è proprio fatta di persone che cercano una propria vita, che rincorrono i propri sogni, le proprie speranze. Parlare di immigrazione oggi è parlare dell’Italia perché vuol dire proprio mettere il dito nella piaga dei pregiudizi, delle ignoranze, degli egoismi della comunità italiana. 
Narrare storie, in questo caso qui, di migranti entrando nella loro intimità, nell’aspetto intimo quindi privato dell’esistenza delle persone significa anche secondo me un fatto ovvio, se vogliamo, ovvero che siamo tutti uguali perché siamo tutti cittadini del mondo innanzitutto e non dell’Italia. L’Italia fa parte dell’Europa, l’Europa è un sottoinsieme del pianeta, il pianeta un sottoinsieme del sistema solare e così via. Siamo tutti uguali e siamo un popolo di migranti, insomma ci dimentichiamo della nostra storia remota e recente. Io credo, che la musica popolare possa giocare un piccolo ruolo per ricordarci chi siamo e per farci qualche domanda in più sulla nostra identità di persone nel contesto attuale di questo paese.

“Roma Capitale sei ripugnante non ti sopporto più” è una parte del testo di “Io Cerco Te”, una provocazione che ha suscitato molte polemiche. Cosa hai voluto comunicare con quest’affermazione provocatoria?
Voglio dire che Roma non è soltanto la capitale d’Italia e non è soltanto l’unica vera grande metropoli che c’è nel nostro paese. Roma è lo specchio della società italiana proprio perché è capitale, proprio perché è l’unica grande metropoli. Roma, la comunità romana e tutta la società italiana si sono terribilmente involute negli ultimi 20/30 anni politicamente, socialmente, culturalmente quindi la ripugnanza che c’è in quel verso quel “non ti sopporto più” in realtà non vuole essere una derisione, assolutamente! Non c’è derisione, c’è indubbiamente la provocazione e anche un pochino la disperazione che si prova nei confronti di una società allo sbando come è la società italiana in questo momento. Pertanto mi auguro che dietro a questa disperazione ci sia anche un desiderio di riscatto, di emancipazione.
Quella frase dovrebbe essere vista nel senso specifico del sottotesto e non del testo in quanto tale. Molto spesso guardo i commenti in rete e mi sembrano talmente superficiali da ricordarmi certe forme di analfabetismo, sono un po’ amareggiato dalla superficialità, dalla mancanza di cultura perché spesso bisogna saper ascoltare.

“Ho visto una chiesa bruciare Gesù Cristo sceso dalla croce maledirmi in inglese per le strade di Baghdad” (Cleveland-Baghdad). Questa è una tra le tante citazioni “religiose” che compaiono nei tuoi testi. Qual è il tuo rapporto con la religione?
Innanzitutto io sono ateo, ma mia madre era una suora e mio padre seguiva molto la religione e i suoi principi. Sono cresciuto con i valori della religione e li condivido. La fratellanza è un valore, la solidarietà pure. Se si guarda bene anche l’ateissimo Majakovskij nei suoi momenti lirici più forti sembra far trasparire una religiosità di una profondità agghiacciante. La religione non mi è estranea, condivido i valori ma non credo in alcuna conversione religiosa, insomma non abbraccio alcuna fede.

In che modo ti sembra che sia cambiato il panorama musicale dal 2005 ad oggi?
E’ cambiata la scena, è cambiata la società e sono cambiati anche i mezzi con cui fruiamo della musica e della cultura in genere, perché internet è stato veramente un fenomeno rivoluzionario nelle nostre vite. Oggi i dischi quasi non li compri più perché sono diventati immateriali, del resto i dischi non li vendi perché sono diventati immateriali. Una volta vendere dischi voleva dire anche fare un sacco di bei soldi, si facevano le tournée per promuovere i dischi oggi, invece, devi fare un disco per poter fare una tournée. Quindi colui che fa della musica il proprio mestiere, nel senso che riesce a viverci, come grazie al cielo sta accadendo anche a noi, in questo momento si è trasformato da ricca pop star a lavoratore del settore punto e basta. Per arrivare alla fine del mese bisogna fare dei bei concerti, darsi da fare, a me tutto questo, ti dico la verità, non mi dispiace perché ti obbliga a stare coi piedi per terra e a non sentirti chissà chi solo perché varchi il palcoscenico. Poiché salire sul palcoscenico non vuol dire essere qualcuno di più bello e più glorioso e valoroso degli altri, per me salire sul palcoscenico vuol dire proprio immergermi nella realtà, io non fuggo la realtà, la cerco.

Siete autoprodotti al 100% grazie, anche, all’etichetta discografica indipendente La Tempesta Dischi, cosa ne pensate delle major e della loro politica lavorativa?
Io penso che chi sceglie di farsi produrre da una major scende a patti con la cultura della stessa che è una cultura commerciale, di business ma è anche una cultura di diseducazione. Scende a patti con i meccanismi che dominano il modus operandi della major, questo non è il nostro caso perché noi autoproduciamo i nostri lavori, e li abbiamo sempre e soltanto autoprodotti. Tra l’altro questa è anche una scelta molto ragionevole in questo momento storico perché i dischi non si vendono più, così come non li vendono le major a meno che non parliamo della Pausini, Vasco Rossi, Ramazzotti e altri. Autoprodursi significa anche che quando vendi i dischi ti spetta di diritto, questa è la legge, una percentuale sulla vendita di ogni singolo disco che è 20/30 volte superiore alla percentuale che ti spetterebbe se ti fai produrre da una major, quindi autoprodursi diventa un fatto logico di sopravvivenza dentro il mercato della musica. Noi siamo indipendenti, ma siamo distribuiti da Universal perché ci garantisce una distribuzione più completa. Come tanti altri per me la major è un non problema perché io non mi faccio produrre dalle major, perché con le nostre risorse, i nostri soldi produciamo i nostri dischi. Io non faccio delle major il diavolo in assoluto, mi spiace per loro che non riescono a vedere nella musica rock un’occasione di profitto e preferiscono i talent show o cose più commerciali ad uso e consumo di tutti, quindi un pubblico più ampio.

Che ne pensi delle leggi proibizioniste sulla marijuana o sulle droghe leggere?
Sono un antiproibizionista convinto non da ieri, ma da sempre. Convintissimo antiproibizionista e sono sicuramente favorevole alle droghe leggere perché le persone possano essere libere. L’alcol è una piaga perfettamente legale basta vedere le statistiche. La cannabis finché è proibita resta alla mafia, liberalizzazione significherebbe dare una mazzata alle mafie.

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