Tante proposte di legge, nessuna legalizzazione
Era il 1993 quando i radicali si batterono con ogni mezzo a loro disposizione per il referendum per l’abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe leggere. Votarono il 77% degli elettori e il “sì” passò con il 54% dei voti. Rimasero le sanzioni amministrative, ma non quelle penali, fino all’approvazione della Fini-Giovanardi.
Lasciando stare quell’obbrobrio giuridico che ha portato in carcere decine di migliaia di semplici consumatori, ricordiamo però che la dichiarazione di incostituzionalità della legge da parte della Corte costituzionale nel 2014, non ha spostato il problema di un millimetro.
Anche se non si volessero considerare i vantaggi economici che la legalizzazione della cannabis porterebbe al nostro Paese – e parliamo di 10 miliardi di euro di fatturato annuo secondo i dati dell’ultimo studio dei professori Ferdinando Ofria e Piero David dell’Università di Messina che già da tempo si dedicano alla tematica – non si può rimanere ciechi davanti al fatto che la repressione messa in atto negli ultimi 50 anni non ha impedito l’aumento della circolazione delle sostanze e soprattutto continua a mandare in galera migliaia di consumatori ogni anno nelle carceri italiane che, secondo l’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa “Space” sono le più sovraffollate d’Europa. Alla fine del gennaio 2020, secondo il report, in Italia c’erano 120 detenuti per ogni 100 posti.
Dai dati contenuti nell’undicesimo Libro bianco sulle droghe emerge che il 29,6% degli ingressi in carcere nel 2019 è stato causato da imputazioni o da condanne sulla base dell’articolo 73 del Testo Unico sugli stupefacenti.
La spesa per il consumo complessivo di sostanze proibite (cioè i soldi che sono finiti nelle tasche della criminalità organizzata) è stata pari a 16,2 miliardi di euro (dati del 2018), di cui ben 6,3 miliardi di euro (39% del totale) derivano dal mercato nero dei cannabinoidi: sono i dati delle 422 pagine della Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze presentata lo scorso 30 giugno dalla ministra per le politiche giovanili Fabiana Dadone. Non solo, perché su 31.016 persone segnalate nel 2020 alle prefetture per possesso di piccole quantità di sostanze proibite (art. 75 del DPR 309/90), il 74% (23mila persone) riguarda la cannabis (cocaina: 19%; oppiacei 5,6%). Su 31.335 persone segnalate all’autorità giudiziaria nel 2020 per violazione della legge antidroga (art. 73 e 74 del DPR 309/90), ben 13.586 (il 43.4%) sono legate al traffico di cannabinoidi (cocaina: 41%; eroina: 9%; droghe sintetiche: 1,1%).
A livello europeo, invece, su un totale di 1,3 milioni di sequestri di sostanze stupefacenti 760mila, equivalenti al 71% del totale, hanno riguardato fiori di cannabis (40%), hashish e resine (29%) e piante (2%). Sono i numeri pubblicati dall’EMCDDA, l’agenzia europea che monitora la situazione degli stupefacenti e delle dipendenze, nell’ultimo report dedicato ai trend del fenomeno.
L’altro dato che fa riflettere è il fatto che, come messo nero su bianco nel report, “la maggior parte dei sequestri segnalati riguarda piccole quantità di droga confiscate ai consumatori”. Un’affermazione che mostra il totale fallimento delle politiche proibizionistiche nei confronti della cannabis: come gli esperti sottolineano da anni, l’approccio che stiamo portando avanti in Italia e in Europa penalizza i consumatori e i piccoli spacciatori, toccando a malapena i grandi affari del narcotraffico.
Insomma, la guerra alla droga lanciata dagli Stati Uniti negli anni ’70, in Europa e in Italia è diventata una vera e propria guerra alla cannabis, una sostanza che l’anno scorso è stata consumata da 25,2 milioni di persone nel vecchio continente, che vanta 90,2 milioni di persone (il 27% della popolazione europea) che l’ha provata almeno una volta nella vita.
«Sono trascorsi 50 anni dal discorso del 18 giugno 1971 del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon che pubblicizzava la guerra alla droga dell’amministrazione statunitense. Nixon dichiarò che l’abuso di droga era “il nemico pubblico numero uno dell’America”. Nonostante Nixon abbia menzionato “riabilitazione, ricerca e istruzione” nel suo discorso, la guerra alla droga è stata un’offensiva, con interventi militari, tassi di arresti alle stelle e condanne aggressive. Gli Stati Uniti hanno sostenuto un costo enorme, sia finanziario che sociale, con i più emarginati e vulnerabili che si sono fatti carico dell’onere maggiore. Cinque decenni dopo, e nonostante i molteplici cambi di amministrazione, non si vede alcun segno di vittoria».
Inizia così un recente articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, dal titolo “The time to end the war on drugs is long overdue” che scrive in modo esplicito che «La guerra alla droga deve finire».
Davanti a questi dati il Parlamento non può rimanere in silenzio. E se da una parte gli annunci e gli slogan a favore della cannabis si moltiplicano puntualmente durante le campagne elettorali nel tentativo di spostare gli equilibri politici, nella pratica si sono tradotti in un nulla di fatto, dall’altra quello che di sicuro non manca sono nuove proposte di legge per la legalizzazione: in questi ultimi anni, come vedremo più avanti, ne sono state depositate tante.
Nel 2016 per la prima volta nella storia della Repubblica è stata discussa una legge in Parlamento sulla legalizzazione. Le proposte di legge erano state quella dell’inter-gruppo che contava oltre 220 parlamentari e quella di iniziativa popolare presentata dai Radicali e accompagnata da oltre 50mila firme. Tutto si è concluso con un nulla di fatto e la fine del governo Renzi.
Ma le proposte per la legalizzazione o la depenalizzazione della cannabis sono diverse negli anni, fatte da diversi partiti, e con una sola cosa che le accomuna: il fatto di essere state dimenticate dopo averle depositate alla Camera o al Senato.
Nel 2014 Enrico Buemi, allora senatore nel gruppo parlamentare Per le autonomie, fu il primo firmatario di un disegno di legge dal titolo: “Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di depenalizzazione della coltivazione domestica di piante dalle quali possono essere estratte sostanze stupefacenti o psicotrope”. Mai discusso.
Nel maggio 2015 il senatore Lello Ciampolillo presentò in Senato la legge dal titolo: “Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di coltivazione e consumo della cannabis e dei suoi derivati”. Anche per questa legge non è mai iniziata la discussione.
Alla fine dello stesso anno l’onorevole Filippo Fossati (Art.1 – MDP – LeU) presenta una legge dal titolo: “Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di depenalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti, di misure alternative alla detenzione e di programmi di riduzione del danno”. Manco a dirlo la discussione non è mai iniziata.
E queste sono quelle che sono rimaste nei cassetti della politica senza essere mai discusse, perché ce ne sono almeno altre 8 (con primi firmatari Giuseppe Civati, Luigi Manconi, Vittorio Ferraresi, Daniele Farina Tancredi Turco, Marisa Nicchi, Roberto Giachetti e Enza Bruno Bossio) che sono poi confluite nel disegno di legge dal nome “Disposizioni concernenti la coltivazione e la somministrazione della cannabis a uso medico” approvato nel 2017 con una serie di norme per la cannabis in medicina.
Ma nel 2018 le proposte ricominciano a fioccare e non solo dal M5S, anche dal PD.
Le prime due a firma del Senatore Lello Ciampolillo, che prevedevano la coltivazione domestica di quattro piante di cannabis per scopo medico (la prima) e per scopo ricreativo (la seconda).
Accanto a queste troviamo quella di Nadia Ginetti del PD, presentata nell’aprile del 2018, che contiene “disposizioni in materia di impiego farmaceutico e medico della cannabis e legalizzazione della coltivazione, detenzione e consumo personale” e poi quella del senatore Tommaso Cerno, nel frattempo uscito e rientrato nel PD, presentata nel novembre dello stesso anno con “norme per la regolamentazione legale della produzione, del consumo e del commercio della cannabis e dei suoi derivati”.
All’inizio del 2019 è Matteo Mantero, allora nel M5S, che annuncia di aver depositato una nuova legge con un comunicato intitolato “Libera cannabis in libero Stato”. È previsto il diritto all’autoproduzione di massimo tre piante e alla coltivazione associata (massimo 30 persone), oltre alla depenalizzazione della cessione gratuita di modiche quantità. Altro punto è quello di regolare il mercato della cannabis a basso contenuto di THC (la cosiddetta light) consentendo la vendita per uso alimentare (e innalzando il contenuto di THC fino all’1%. Niente di fatto anche in questo caso.
Poi, a settembre dello stesso anno, è sempre Mantero a depositare alla Camera il Manifesto collettivo per la cannabis libera, che, nato dal basso con l’intervento di associazioni e attivisti, nel frattempo arriva a raccogliere oltre 100mila firme online.
Se le proposte di legge sono tante, quello che manca sono la volontà e la responsabilità politica nel battersi affinché vengano approvate. È facile proporre un progetto da realizzare in futuro illustrandone le potenzialità: il difficile è sostenerlo nel momento in cui la possibilità diventa concreta, mettendo da parte i pregiudizi e discutendo nel merito delle potenzialità che la legalizzazione porterebbe al nostro Paese. Ed è proprio quello che noi oggi chiediamo ai nostri politici: meno chiacchiere e più coraggio e concretezza, a partire dalla legge sull’autoproduzione in discussione in Commissione giustizia. Il voto del testo unificato presentato in commissione è previsto per questo settembre, poi si aprirà la fase degli emendamenti prima che il testo venga inviato alle Camere per la discussione. Vedremo dal voto quali sono le forze politiche che si sono dette a favore della legalizzazione per accaparrarsi qualche voto, e quali invece ci credono veramente e sono disposte a battersi nel concreto.