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Style war: origine del battle rap e del dissing

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Era il 1985, quando un giovane LL Cool J pubblicava il suo album Radio. Successo e polemiche vanno a braccetto e in questo caso parliamo di Kool Moe Dee, icona della vecchia scuola di New York, il quale accusava Mr. Smith di avergli rubato stile e flow. Il primo attacco di Moe Dee fu nel singolo “How Ya Like Me Now”. LL rispose con “Jack The Ripper” e la cosa continuò, colpo su colpo per almeno 3 anni.

Dove c’è puzza di rissa, c’è business, e infatti si creò un notevole hype commerciale, ma si assistette anche ad una crescita tecnica e stilistica del rap dell’epoca. Più o meno la stessa cosa può dirsi dell’altra faida storica di NY (1987), tra la posse Boogie Down Productions (capitanata da Krs One) e la Juice Crew di Queensbridge (di cui facevano parte Marley Marl e Mc Shan). Più che su una questione di “stile”, queste faide si basavano su questioni di appartenenza e territorialità. Bronx e Queensbridge si contendevano spazio e onore, così, Shan pubblicò “The Bridge”, che fu subito seguita da “South Bronx” dei BDP. La risposta si fece attendere e avvenne con “Kill That Noise”, ma tutto si concluse con l’ultraclassica “The Bridge Is Over”, ancora adesso considerato come il più rappresentativo del “battle rap”.

La lista dei “dissing famosi” è davvero infinita. Ice Cube prima venne dissato dal suo vecchio gruppo (gli NWA), poi anni dopo se la prese coi Cypress Hill e con i Das Efx. E tanto per essere scontati come non citare Tupac (and the Outlawz) Vs. Biggie Smalls (che si è portata dietro tutta la famigerata lotta West Coast/East Coast della metà anni ‘90, con una miriade di canzoni sul tema, un brano su tutti: “Hit ‘Em High”). Ovviamente anche in Italia sono stati molti i casi di dissing famosi. Dj Gruff si è scagliato contro gli Articolo 31 su “1 Vs. 2”, i bolognesi Camelz nella loro famosissima “10 Sacchi” contro Neffa, e la lista è comunque ben nutrita, passando da Kaos a Inoki (tra i vari contro Guè, successivamente contro Salmo, il quale ha risposto con la molto conosciuta “Stupido Gioco Del Rap”) arrivando a Fabri Fibra, che si è dato un bel da fare, utilizzando – pare – lo stesso schemino del sopraccitato Eminem, attaccando un po’ tutto e tutti per far rumore. Ma in questa sede non vogliamo elencare tutti gli episodi, piuttosto spingere un po’ tutti ad una riflessione.

Quello che a prima vista potrebbe sembrare semplice senso di protagonismo, in effetti cela molto di più. Per un genere come il rap, dove il cantante esprime grandi quantità di concetti ed opinioni ed è sempre legato all’identità del proprio stile originale, oltre che ancora all’autocelebrazione, è davvero naturale utilizzare la musica come mezzo di attacco/difesa.

L’hipHop nasce 40 anni fa in un contesto disadattato, ricco solo di violenza e di espedienti. Per questo, Zulu Nation fin dalla sua nascita ha promosso la musica rap come strumento di emancipazione, comunicazione e anche di “difesa”, se necessario, proprio per contribuire ad un miglioramento generale delle condizioni sociali delle zone in cui questa cosa è nata. Ma si sa che il genere umano, di natura, tende a travisare, interpretare, modificare ad hoc quasi ogni cosa e quindi arriviamo al più moderno concetto di dissing. Una nobile “sfida”, purtroppo, può diventare un mezzo commerciale per catalizzare l’attenzione su un artista, dato che il pettegolezzo da parrucchiera – a quanto pare – è sempre redditizio. Non dimentichiamo mai poi quanto sia semplice attaccare qualcuno di famoso, sperando di ottenere di riflesso un po’ di quella visibilità goduta da quest’ultimo. Rispetto agli States, in Italia in effetti ci troviamo di fronte a parecchi “dissing” famosi che non hanno mai avuto una vera risposta. Solo in pochissimi casi abbiamo assistito ad una vera “sfida” tra mc’s e dj’s, a differenza di quello che invece accade nel movimento del writing e del b-boying, dove il concetto di battaglia stilistica è preso decisamente più sul serio e con “onore”. Lo sfoggio del proprio stile e la gelosia dello stesso sono capisaldi fondamentali dell’essere hip hop e del relativo modo di comunicare, tanto quanto la voglia di fratellanza/unione e il rispetto delle tradizioni alla base di questa cultura.

Detto questo un rapper (come qualunque altro uomo) ha il diritto di esprimere nella sua musica quello che vuole, eventualmente anche denunciando quello che non gli va o difendendosi dalle accuse rivolte da terzi. Sta a noi valutare se la cosa sia meritevole di considerazione o meno, attribuendole un peso culturale o no. Insomma, insultare un politico, le forze dell’ordine e altri generi musicali/cantanti (in un genere dove il sample è tradizione e cultura), è estremamente diffuso nel rap. Attaccare un altro collega, qui in Italia, è spesso visto come un tabù (come se fossimo davvero una grande tribù che, a prescindere, si vuole un bene dell’anima).

Visto così non pare molto coerente, vero? Pur essendo consapevoli che il rispetto è la prima cosa che ogni essere umano dovrebbe imparare a mettere in pratica, l’hip hop è anche sfida e confronto. E la sfida, se sei intelligente e maturo, è anche accrescimento personale. Sotto quest’ottica (distinguiamo sempre la vera sfida dall’espediente), non vedo cosa ci sia di così sbagliato. Questo non è un invito a considerare la pratica del dissing come un’arte sofisticata e da intraprendere sempre e comunque, piuttosto un invito ad evitare di demonizzare un qualcosa che è davvero molto normale, considerato lo spiccato ego di molti rapper. Non temiamo le sfide. Sono all’ordine del giorno nella vita. E se portano ad una crescita, sono più utili di grandi “parruccate esemplari” (cit.).

Giovanni “Zethone” Zaccaria



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