Studente coltiva cannabis: accusati di spaccio anche i genitori
Lo scorso 29 settembre i carabinieri di Rimini avevano arrestato uno studente 20enne di chimica che, all’interno della propria abitazione, aveva realizzato una serra artigianale all’interno della quale coltivava 13 piante di marijuana.
Oltre alle piante, alte 170 cm circa, i militari dell’Arma avevano trovato anche 160 grammi di cannabis, in parte già divise in involucri più piccoli.
Il 20enne al processo aveva patteggiato una condanna a 1 anno e 6 mesi (con sospensione della pena) e una multa di tremila euro. Pareva l’epilogo della vicenda ma pochi giorni dopo è arrivata la sorpresa da parte della Procura di Rimini: anche i genitori del ragazzo, di 51 e 53 anni, sono stati denunciati per detenzione e spaccio di stupefacenti. Ma a carico loro (secondo quando riportato dal quotidiano Rimini Today) non vi sarebbe alcun materiale indiziario ma sarebbero stati denunciati solo perché “non potevano non sapere dell’hobby del figlio e quindi dovevano essere complici nella coltivazione della marijuana”.
“Se fosse vera la notizia ci troveremmo dinanzi semplicemente ad un assurdo sul piano giuridico – ha commentato tramite tramite la pagine Stupefacenti e Diritto l’avvocato Carlo Alberto Zaina – si tratterebbe infatti di connivenza non punibile. La conoscenza della condotta illecita del congiunto convivente, senza che intervenga alcuna forma di agevolazione od istigazione a che la stessa si esplichi in modo pieno e perfetto, non costituisce reato.
Secondo l’avvocato “essere al corrente della commissione di un illecito, non significa partecipare o concorrere al perfezionamento dello stesso, quando si è privi di una qualifichi di carattere pubblico che comporti l’obbligo di intervenire per prevenire o reprimere. Solo se i famigliari fossero pubblici ufficiali appartenenti alle forze dell’ordine allora sussisterebbe un concorso nel fatto illecito dell’agente. Questi sono i canoni giurisprudenziali classici”.