Mondeggi: storia di un’occupazione fiorentina
Nel 2014 un collettivo ha utilizzato una fattoria in disuso nel Comune di Bagno a Ripoli per una festa di tre giorni. Da allora quelle persone non se ne sono mai andate
Mondeggi è una fattoria che si estende per duecento ettari di terra. È alle porte di Firenze, nel Comune di Bagno a Ripoli. Là dentro ci trovi uliveti, vigne, distillerie di lavanda, forni per il pane, orti. Ci abitano sì e no una ventina di persone, senza contare tutti gli amici della fattoria che orbitano lì attorno. Insieme tengono in piedi il tutto.
Eppure, quando sono arrivato a Mondeggi, c’era dell’altro che desideravo conoscere. Desideravo sapere come si occupano duecento ettari di fattoria dal valore di nove milioni e mezzo di euro per sette anni. Perché Mondeggi è anche questo: una fattoria di duecento ettari, occupata da sette anni e con un valore economico a sei zeri. Dunque, come si occupa uno spazio da nove milioni e rotti? Con una festa di tre giorni e un migliaio di persone che vi partecipano. È così che è stata occupata nell’estate del 2014: con una festa. È questo l’inizio di una storia incredibile: la storia della comune libertaria di Mondeggi, la “Fattoria senza padroni”.
Una storia, un precedente
Se l’occupazione effettiva di Mondeggi è avvenuta nell’estate del 2014, i riflettori su quei duecento ettari di terra si sono accesi due anni prima, nel 2012. È infatti in quell’anno che nasce il comitato “Terra bene comune Firenze”. Un comitato che aveva un’ambizione: impedire la vendita del patrimonio pubblico italiano.
Mondeggi era parte di quel patrimonio in vendita. Un patrimonio che consisteva, e consiste tutt’oggi, di quattro case coloniche, duecento ettari di terra e una Villa monumentale. Proprietaria di tutto era la Città metropolitana di Firenze. Attualmente lo è ancora. Fatto sta che la gestione statale di Mondeggi, nel 2012, aveva generato un debito di oltre un milione di euro. Per questo venne liquidata e messa in vendita dalle istituzioni. Il valore dell’intera area venne stimato in nove milioni e mezzo di euro, per l’appunto. Nessuno la acquistò mai. Così, col passare del tempo, Mondeggi cadde nel degrado.
È allora che il comitato ha pensato bene di intervenire con un primo atto. È il novembre del 2013 e quel comitato, composto da agricoltori, contadini, artisti, studenti e semplici cittadini, realizza la sua prima azione: raccogliere le olive dagli uliveti, trasformarle in olio, e redistribuire il tutto alla popolazione locale gratuitamente.
A questo primo atto ne è seguito un secondo: avviare un orto condiviso dentro a Mondeggi. Era la primavera del 2014. Un ultimo atto di dissenso è arrivato invece nell’estate di quello stesso anno: una festa di tre giorni, dal 27 al 29 giugno. Una festa che è diventata un’occupazione. Perché terminati quei tre giorni, i mondeggini non se ne sono mai più andati.
Tutta questa storia ha generato un bel precedente, uno di quelli da cui non si torna indietro. Perché sotto la gestione dello stato, Mondeggi era al degrado. Oggi, in un contesto di occupazione illegale, è invece una realtà piuttosto florida. Ed eccolo qui, allora, il precedente dal quale non si torna indietro: una situazione che, diventata illegale, risulta essere più gradevole di quando era perfettamente legale.
Dopo anni di attriti tra il comitato e le istituzioni, con la possibilità di uno sgombero sempre in agguato, Mondeggi non è più in vendita. Oggi, quelle stesse istituzioni, non possono più ignorare quei mondeggini che, in sette anni, hanno riabilitato un territorio. O meglio: per le istituzioni non è più conveniente farlo.
Genuino Clandestino
La storia di Mondeggi va oltre se stessa. Perché Mondeggi è un simbolo, a guardare bene. Il simbolo di una lotta che ha a che fare, prima di tutto, con il diritto alla terra e all’autoproduzione. È per questa ragione che Mondeggi fa parte della rete di Genuino Clandestino. Una rete tutta italiana che mira a «denunciare un insieme di norme ingiuste che, equiparando i cibi contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li ha resi fuorilegge». Perché nelle aree rurali italiane esistono problemi che non sempre riescono a fare breccia nell’opinione pubblica. Uno di questi riguarda proprio la dipendenza dei contadini dalle grosse industrie. Mondeggi fa parte a pieno titolo di questa rete. Perché il messaggio che i mondeggini desiderano condividere è che ognuno ha diritto alla terra, alla sua coltivazione e all’autonomia dal sistema economico. «Perché produrre cibo solo per alimentare l’economia? – mi chiede, con un pizzico di retorica, uno degli abitanti della Fattoria senza padroni di Mondeggi – Possiamo produrre cibo anche per l’autosussistenza e per tutelare i saperi legati alla terra. Non tutto può essere nelle mani della grossa produzione. Della terra ci si deve prendere cura, è necessario tempo e passione. Non può essere solo un qualcosa da spremere e da immettere nel mercato in modo indiscriminato». E così Mondeggi, con i suoi orti e ulivi, con le sue vigne e le sue arnie per il miele, è un atto di dissenso. «Qui non abbiamo bisogno di niente: ci basta il nostro saper fare e la volontà che ci mettiamo. Alla terra ci pensiamo noi. È così da sette anni», ribadisce quell’abitante.
Mondeggi, una storia comune
Durante la mia permanenza a Mondeggi mi sono accorto che ogni abitante era sempre indaffarato in qualcosa. Dalla mattina alla sera. C’è chi, all’alba, si sveglia per andare a raccogliere lavanda e chi, invece, per infornare il pane. C’è chi sta nelle vigne, chi tra gli ulivi. Alcuni stanno nella distilleria a produrre oli essenziali. Qualcuno è impegnato con le api. Calato il buio, poi, non manca chi si prende cura dell’impasto per il pane. È un ciclo continuo, insomma. Ed è dentro a questo ciclo che a Mondeggi si tessono relazioni di ogni tipo.
Anche l’amore è parte di tutto questo. Anche l’amore, in quei duecento ettari, ha a che fare con questo ciclo continuo. A Mondeggi la terra è una chiave di lettura. Una chiave di lettura che immagina relazioni più sane, aperte, inclusive, tolleranti. Perché in realtà comunitarie come Mondeggi, ciò che viene riscoperto non è solo il valore della terra. Ad essere riscoperta è anche la necessità della vita comunitaria in una società sempre più individuale e sola. Una riscoperta che nasce da un atto di dissenso collettivo.