Stipendi medi, Italia ultima in Europa
In Italia, dove il salario minimo non c'è, gli stipendi sono al -2,9% rispetto al 1990
In Italia gli stipendi sono diminuiti del 2,9 percento in trent’anni, regalandoci un triste ultimo posto nella classifica dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ci mette in fondo alla crescita nei salari in Europa. La prima, se ve lo state chiedendo, è la Lituania, che un po’ come tutti i paesi baltici ha visto un’impennata nell’economia interna ed è cresciuta del 276 percento in trent’anni.
Ma anche Francia e Germania hanno fatto molto meglio di noi in queste ultime tre decadi: +31 percento la prima e +34 la seconda. Persino la Grecia, con la minaccia della bancarotta prima e l’apocalisse umanitaria tra Turchia e Siria poi, ha avuto una crescita media degli stipendi del 30 percento.
La Polonia è cresciuta del 96 per cento. L’Irlanda dell’85, la Svezia del 63. La Spagna non se l’è cavata altrettanto bene, ma pur in fondo classifica presenta una percentuale in positivo con il +9 percento. In Italia, lo stipendio medio di un cassiere al supermercato è di 1.300 euro, una cifra che nelle grandi città rappresenta un ostacolo per la sopravvivenza.
Si potrebbe dare la colpa all’euro, che ha raddoppiato i prezzi e dimezzato i salari, ma non è sufficiente per spiegare la differenza con molti paesi che hanno adottato la moneta unica eppure, oltre a questo, hanno fatto una migliore politica di aumenti dei salari minimi.
Il salario minimo, nemmeno a dirlo, in Italia non è definito. In 21 dei 27 paesi dell’Unione invece c’è, e funziona. Secondo i dati Eurostat, in Lussemburgo è addirittura di 2.250 euro, in Irlanda è di 1.750, in Slovenia di 1.074, poco meno che in Spagna. In Italia, il governo Amato nel 1992 abolì l’adeguamento degli stipendi all’inflazione: la famosa “scala mobile”. L’inflazione di allora, però, dipendeva dall’aumento della domanda, mentre quella di oggi ha più a che fare con l’aumento dei costi dell’energia.
Per i nati dopo il 1986, la situazione in Italia è pessima: i loro stipendi sono i più bassi della storia del Paese e le previsioni per il PIL del 2022 gli fanno perdere punti percentuali a vista d’occhio. Per non parlare della minaccia di scarsità di gas russo, che si trasformerà secondo gli economisti in una recessione ancora più severa nel 2023.
L’economia italiana arranca, ma c’è. Però, le grandi aziende italiane preferiscono concentrare i loro sforzi in paesi più ricchi prima che nel nostro, liberandosi dalla responsabilità di creare posti di lavoro in Italia, dove intanto il potere d’acquisto delle famiglie perde valore in modo rovinoso.