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Stella Assange: “È in gioco la libertà di stampa a livello globale”

Il Wired Next Fest 2022 sul Futuro della democrazia e si è aperto con Stella Assange

Stella Assange: "È in gioco la libertà di stampa a livello globale"
“Le questioni in gioco
sono più grandi del singolo caso di Julian e vanno dritte al cuore della democrazia e di una società libera e aperta e il destino di Julian determina anche il nostro presente e la nostra possibilità di parlare della, e pubblicare la verità senza rappresaglie”. È il cuore delle dichiarazioni di Stella Assange che sta portando avanti una battaglia che ci coinvolge tutti e che rischia di cambiare per sempre il ruolo dell’informazione nel dibattito pubblico e che annuncia manifestazioni in Italia e all’estero per sostenere questa battaglia impari.

Venerdì scorso il direttore della rivista Wired Italia, Federico Ferrazza, ha aperto il Wired Next Fest 2022 con un’intervista a Stella Assange. Il tema del festival era “Il futuro della democrazia”, non si poteva dunque non parlare del caso che più di ogni altro va dritto al cuore della democrazia: quello del marito ed ex assistito di Stella, Julian Assange. Quella che segue è la mia traduzione dall’inglese dell’intervista.

Come sta Julian?
Julian soffre ogni giorno, è stato per oltre tre anni e mezzo a Belmarsh che è la prigione più dura del Regno Unito, la chiamano la Guantanamo Bay britannica. È in una cella singola dall’11 aprile 2019, quindi immaginate che era un intero anno prima del Covid e deve combattere questa battaglia legale estremamente importante da una cella in una prigione di massima sicurezza. La sua salute fisica si deteriora di giorno in giorno ed anche quella mentale ovviamente è in profonda sofferenza. Come dicevo si tratta di un caso legale di estrema importanza, ma che è soprattutto un caso politico, quindi sarebbe un errore ridurlo alle sole questioni legali. È in tutto e per tutto un caso politico.

Mezzobusto Stella Assange, fotografata nel cortile della Fabbrica del Vapore, Milano
Foto di Renato Napoli

E tu, come stai?
Apprezzo che tu me lo chieda, ma sai, sto bene, considerando le circostanze, sto lottando per la liberazione di Julian, ecco come spendo ogni momento delle mie giornate. Visito Julian in prigione con i nostri bambini di tre e cinque anni, due volte a settimana.

Cosa ti aspetti che succeda a seguito della richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, in questa fase di appello?
Come ho detto, questo è un caso motivato politicamente e l’amministrazione Obama nel 2013, dopo che Chelsea Manning, che era la fonte dei documenti, passò attraverso la Corte Marziale, la segreteria di Stato disse che non avrebbe perseguito Julian riguardo alle pubblicazioni relative all’Iraq, all’Afghanistan, a Gauntanamo e così via. In seguito l’Amministrazione Trump capovolse questa decisione, quindi a seconda di chi siede alla Casa Bianca Julian è perseguito o no e rischia 175 anni. Ciò che è realmente inspiegabile, è che Biden ha deciso di portare avanti l’eredità più perniciosa e persistente di Trump, che è colpire la stampa con una legislazione draconiana, l’Espionage Act, silenziando le voci critiche e fondamentalmente creando un precedente attraverso il quale possono perseguire il resto della stampa.

Come ho detto in apertura, qui abbiamo avuto ospiti Julian Assange, Edward Snowden, Chelsea Manning e altri whisteblower: quale pensi che sia la differenza tra il caso Assange e quello di Snowden e Manning?
Ci sono delle fondamentali differenze e anche delle similarità, queste ultime sono che sotto Obama hanno dato il via alla persecuzione in relazione a grandi fughe di notizie: Chelsea Manning è stata condannata nel 2013 ed anche Edward Snowden è stato accusato sotto l’Espionage Act. Ma la differenza sostanziale è che Chelsea Manning e Snowden sono whistleblower, sono delle fonti, ma non sono degli editori e Julian è un editore, nessuno sostiene che Julian sia una fonte, in effetti facendo un passo indietro rispetto a quanto dicevo prima, la vera ragione per cui l’Amministrazione Obama non aveva perseguito Wikileaks e Julian era perché, come dissero, si trattava di un editore, non un hacker e quindi non c’era alcun modo di perseguire Assange, se non creando un precedente attraverso il quale si potesse perseguire il resto della stampa e quella Amministrazione non aveva intenzione di farlo.

Ma una fondamentale differenza rispetto ai loro casi è che stanno perseguendo Julian per aver ricevuto informazioni da una fonte, aver avuto accesso a quelle informazioni e averle comunicate al pubblico. L’altra fondamentale differenza è che Julian non è americano, non ha niente a che fare con gli Stati Uniti, a parte aver imbarazzato gli USA e pubblicato le prove dei loro crimini; sia Snowden che Chelsea Manning hanno lavorato per il Governo americano, non sto giustificando la loro persecuzione, ma avevano degli obblighi contrattuali e verosimilmente un certo grado di relazione col Governo che Julian non ha.

Quindi è davvero assurdo. Immaginate che un giornalista italiano oggi pubblichi documenti che evidenziano persecuzioni o crimini di guerra commessi in Siria o Turchia o dovunque altro e poi, questi Governi perseguano questo giornalista: cosa avrebbe fatto il giornalista italiano, se non il suo mestiere, pubblicando le prove dei crimini? Come giornalista non hai un dovere di fedeltà verso i Governi e ancora meno per quelli stranieri. Ciò che gli USA hanno fatto in questo caso [quello di Assange, n.d.r.] è stato estendere la loro giurisdizione penale al resto del mondo, oltre le loro frontiere, contro un cittadino straniero, accreditato come giornalista dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti [IFJ, n.d.r.].

Prima ho mostrato un’immagine della Primavera araba perché nell’ultimo decennio, dal 2010 in poi, gli attivisti, le persone, credevano che avrebbero potuto liberare il mondo grazie alla tecnologia digitale: pensi che abbiamo perso quello spirito?
Assolutamente sì, penso che non siamo stati abbastanza vigili, Julian e Wikileaks sono emersi da un movimento tra i disobbedienti che realmente vedeva la potenzialità trasformativa e democratica che stava in internet, e con essa la possibilità di democratizzare l’informazione in modo che i cittadini potessero emenciparsi e aumentare il loro potere nei confronti dello Stato. Ciò che è accaduto da allora è l’opposto: la relazione tra Stato e cittadino più cupa che mai, se si guarda ad esempio alla relazione dei “Cinque occhi” [alleanza di sorveglianza, n.d.r.], UK, Canada, USA, Australia e Nuova Zelanda si è instaurato uno Stato transnazionale a livello di sicurezza e di intelligence, c’è una ridotta capacità di supervisione e di obbligo di rispondere dei Governi, e allo stesso tempo, c’è una capacità di sorveglianza da parte dello Stato integrata con gli intermediari della rete internet. Tutto questo è avvenuto parallelamente alla riduzione dei nostri diritti, che è un processo che ha preso piede negli ultimi vent’anni nel contesto della cosiddetta “Guerra al terrorismo”, in cui i nostri diritti sono stati erosi e la giustificazione è stata questa Guerra al terrore, ma non li abbiamo mai riavuti indietro. Ciò a cui abbiamo assistito è un indebolimento progressivo delle nostre tutele, sotto lo sguardo dei cittadini, facendole diventare irrilevanti.

Stella Assange sul palco del Wired Next Fest 2022
Foto di Renato Napoli

A partire dal caso di Julian, pensi che la democrazia sia meglio dell’autocrazia come può esserci in Ungheria o in Russia?
Penso che queste distinzioni stiano diventanto irrilevanti nella realtà e lo vediamo attraverso il fatto che l’autoritarismo e la capacità dello Stato di usare il suo potere coercitivo è enormemente aumentato adesso; stiamo anche perdendo il controllo sull’intelligenza artificiale: non sappiamo neppure dove stia andando quest’ultima. Il caso di Julian è usato nei Paesi che perseguitano i dissidenti e imprigionano i giornalisti, lo usano come un esempio, dicendo: “Beh, guarda cosa stanno facendo in USA e UK a questo giornalista, lo hanno rinchiuso in prigione indefinitamente, […] per cosa? Per aver pubblicato i crimini di guerra degli Stati Uniti!” E hanno ragione, ma non è solo una questione di ipocrisia, ciò di cui si tratta è un’autorizzazione globale a trattare i dissidenti in un modo tale che va bene imprigionarli, va bene silenziare le critiche. E cosa succede quando in tutto il mondo perde la libertà di stampa? I cittadini perdono, la democrazia perde, adesso in quei Paesi hanno questa licenza e possono dire: “Ora non potete chiamarci Paesi che violano i diritti umani perché voi fate anche peggio.”

Due o tre settimane fa Putin ha concesso la cittadinanza ad Edward Snowden, ovviamente è un’astuta mossa politica: non pensi che forse i whistleblower possano essere utilizzati da regimi come quello russo o cinese?
Assolutamente sì, ciò che sta succedendo però è che l’Occidente sta perdendo la sua battaglia morale. Se pensiamo alla Guerra Fredda in cui c’era una sorta di competizione sulla base dei valori rappresentati in Occidente: libertà d’espressione, possibilità di criticare liberamente, quella di poter attribuire la responsabilità al Governo, tutto questo è andato perduto una volta che l’Occidente comincia a perseguire le voci critiche più importanti, quelle che cercano di dimostrare le responsabilità dei loro Governi. Perché non ci sono dubbi sul fatto che Chelsea Manning abbia rivelato crimini commessi dai militari statunitensi e che Snowden abbia rivelato come gli USA hanno violato la Costituzione, non c’è alcun dubbio. Quindi, qual è il messaggio che viene mandato? È che l’Occidente ha abbandonato questi valori ed è una gara al ribasso perché non ci sono più dei limiti standard.

Diverse organizzazioni, come Amnesty International faranno manifestazioni in varie città italiane per chiedere la liberazione di Julian. Oltre alle manifestazioni, cosa possono fare le persone per supportare Julian?
Ho iI volo stanotte [07-10, n.d.r.] perché domani circonderemo il Parlamento britannico con migliaia di persone che parteciperanno, insieme a Russel Brand e numerose organizzazioni, ed anche qui in Italia si lancerà una mobilitazione globale il 15 ottobre. Io direi: informatevi, ma cercate anche di capire che questo caso è più grande di Julian, ovviamente è su Julian e il suo caso politico e naturalmente dovrebbe essere liberato, ma le questioni in gioco sono più grandi del singolo caso di Julian e vanno dritte al cuore della democrazia e di una società libera e aperta e il destino di Julian determina anche il nostro presente e la nostra possibilità di parlare della, e pubblicare la verità senza rappresaglie. Ciò che è stato fatto a Julian è stato fatto per lanciare un messaggio, per creare un potente effetto dissuasivo, lo sappiamo, ne hanno già parlato il Washington Post, il New York Times, etc. dicendo che le accuse ad Assange dovrebbero essere fatte cadere perché è un attacco alla libertà di stampa e alla libertà d’espressione, e in quanto mette a repentaglio la stessa libertà di stampa, è un attacco anche al Primo emendamento degli Stati Uniti.

Ovviamente potete donare alla campagna, alla sua difesa legale; ma c’è anche un ottimo libro dell’ex [si è dimesso lo scorso febbraio, ndr] Relatore Speciale delle Nazioni Unite contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, Nils Melzer, si intitola: “The trial of Julian Assange”: torna indietro nel tempo fino al 2010 e ricostruisce tutto a partire dall’investigazione preliminare svedese della quale hai parlato prima nella tua introduzione e il modo in cui è stata imbastita per poter perseguire Julian fino al punto in cui, ora lo sappiamo, persino la CIA aveva pianificato il suo omicidio.

Ultima domanda. Abbiamo visto la guerra in Ucraina, le proteste in Iran: quanto in questi contesti c’è bisogno di persone come Julian?
Le voci come Julian sono fondamentali in questi contesti, Julian è probabilmente il più famoso – a parte Noam Chomsky – intellettuale in relazione a questioni legate alla guerra e alla pace e infatti uno dei suoi video datato 2011 è diventato virale quando gli USA si sono ritirati dall’Afghanistan: diceva che l’obiettivo non era vincere la guerra ma portare avanti una guerra infinita per spostare il denaro dalle basi imponibili in USA attraverso quelle in UK, in Italia, etc. per poi riportarlo nelle tasche dei fabbricanti di guerre e se capite questo, capite il livello di motivazione per la guerra. Abbiamo bisogno di trovare intellettuali di pubblico rilievo che impostino la discussione sulle motivazioni per la pace. Un paio di notti fa ero in un programma TV, parlavo del caso di Julian con John Bolton, che sotto l’Amministrazione Bush e Trump era tra i maggiori promotori della guerra in Iraq: questo è un vero segno dei nostri tempi, in cui hai qualcuno come John Bolton, che ha le mani insanguinate, a piede libero, in grado di parlare in TV e poi qualcuno come Julian, che è stato silenziato per oltre tre anni e mezzo in una prigione di massima sicurezza per aver pubblicato le prove di crimini di guerra.

Grazie Stella per essere stata qui, buona fortuna a te, a Julian, alla tua famiglia. Noi siamo con te!”

Ovviamente, come sapete, anche noi di Dolce Vita siamo dalla loro parte e continueremo a parlare di questo tragico caso, finché avremo voce e Julian non verrà liberato!

Stella Assange appare dietro la platea in uno schermo
Foto di Renato Napoli


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