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Ammazzato di botte: la verità definitiva su Stefano Cucchi

Condanna definitiva per i due carabinieri che picchiarono furiosamente Stefano Cucchi consegnandolo alla morte

Condanna definitiva per gli assassini di Stefano Cucchi

Lo Stato italiano uccide un altro consumatore di cannabis: pestato a morte dopo l’arresto.”

Così Dolce Vita titolava, a un mese dall’arresto di Stefano Cucchi e della tragica fine che ne seguì, il primo di una lunga serie di articoli dedicati alla drammatica vicenda del trentunenne romano. Era il 2009.

13 anni dopo e un numero impressionante di udienze, accuse infamanti, perizie, testimonianze e sentenze nei vari gradi della giustizia, la Cassazione ha scritto il capitolo conclusivo di questa storia che ricalca proprio quel nostro primo titolo.

Alessio di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri che nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 picchiarono selvaggiamente Stefano Cucchi causandogli lesioni fatali, sono stati condannati in via definitiva a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale.

Le infamanti dichiarazioni su Stefano Cucchi da parte dei rappresentanti delloLA VERITÀ SULLA MORTE DI STEFANO CUCCHI È SEMPRE STATA UNA

«Dedichiamo questa sentenza definitiva ai vari Tonelli, Salvini e a tutti gli altri iper garantisti che per un decennio hanno sostenuto che Stefano Cucchi era morto di suo, era morto per colpa propria» ha dichiarato l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo.

Senza possibilità di smentita, ora possiamo dire che Stefano non è morto perché “caduto dalle scale”. Non è morto nemmeno perché “tossicodipendente”. Non è morto tantomeno “perché magro, anoressico”.

«Ora possiamo dire che è stato ucciso di botte e che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che l’hanno portato via». Alla sorella Ilaria, che ha commentato a caldo la sentenza in questo modo, va il riconoscimento di non aver mai ceduto nella ricerca della verità e di aver così restituito dignità a tutte le altre vittime della divisa a cui giustizia è ancora negata, vittime di uno stato che non solo non ne ha saputo garantire l’incolumità ma in prima persona si è macchiato le mani col loro sangue.



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