South Side Mission
Dopo aver girato l’Europa in lungo e in largo, c’era in noi la voglia di fare un’esperienza con il nostro sound al di fuori del vecchio Continente, possibilmente in un territorio dove i “free party” ancora non erano arrivati. Era un progetto mastodontico: riuscire ad arrivare dall’altra parte del mondo, portando camion, casse, luci, amplificatori, drops e tutto quanto il necessario per organizzare feste, in paesi ancora vergini da questo punto di vista. Proprio per le diverse difficoltà, in primis logistiche ed economiche, il tutto richiese diversi anni prima di riuscire a prendere forma. Se ne parlava da diverso tempo, quando finalmente nel giugno del 2006 quello che sembrava solo un sogno divenne realtà. Dopo aver spedito da Bilbao due nostri truck, che attraversarono l’oceano per la bellezza di 21 giorni sopra una nave cargo, partimmo anche noi. Le nostre tappe? Roma, Barcellona, Madrid, Buenos Aires.
A differenza di tutti i fuori-sincrono collezionati nei diversi anni on the road, quella volta arrivammo esattamente lo stesso giorno dei nostri mezzi. Ma ovviamente era tutto più complicato del solo arrivare all’unisono. Non avevamo tenuto conto della burocrazia argentina, la quale ci mise 4 giorni prima di consegnarci i nostri camion, dopo infinite liti, carte da firmare, minacce di sequestri e soldi elargiti a mo di mazzette, oltre ovviamente alle varie tasse realmente esistenti. Per fortuna noi avevamo già una base nella capitale argentina, dove rimanemmo tre mesi e dove incominciò la nostra avventura Sud americana. La sera stessa dell’arrivo, ci fu un party di benvenuto per noi altri, con personaggi davvero bizzarri, come “La Mario”, una famosa “drag queen” conosciuta nei locali più perversi di Buenos, “La Negra”, la donna con maggiori alterazioni corporee in tutto il Sud America, editrice di “Piel”, rivista culto della body art, e vari altri personaggi che ci avrebbero accompagnato per tutto il nostro soggiorno. In quella megalopoli affascinante, insieme ai “Fuera de Sistema”, sound system del posto, organizzammo diverse serate in dei club e un party nel giardino della casa dove vivevamo. Visto che era pieno inverno, non abbiamo potuto fare free party open air e di occupare fabbriche, in quella parte di mondo, proprio non se ne parlava.
I primi mesi passarono molto velocemente, anche perché c’era davvero tanto da fare e da vedere in quella città. Tra un incontro con le “Abuelas de Plaza de Mayo”, che fu a dir poco emozionante, interviste per canali underground ed inviti in radio per trasmissioni in diretta – ovviamente il tutto in spagnolo – il soggiorno fu a dir poco piacevole. Anche i “Basulores”, cioè coloro che vivono raccogliendo la spazzatura, veri e propri eserciti che si cominciano ad intravedere in città al calar della sera, non ci hanno mai infastidito. L’accoglienza nell’emisfero sud del mondo fu davvero incredibile, visto che al conosciuto temperamento “caliente” dei popoli latino-americani c’era la variante, o l’aggiunta, della novità rappresentata da noi Kernel; questo convoglio venuto dalla lontana Europa a cercare di contaminare e contaminarsi con le genti e le tradizioni autoctone a suon di bpm. Ma tutto questo era soltanto l’inizio, perchè ora, dopo i primi tre mesi passati in città, sarebbe cominciato il vero viaggio in terra astrale. Dopo aver fatto visita al canile municipale “Pasteur”, un vero e proprio lager, prendemmo il cane più giovane che c’era. “Spud” si sarebbe aggiunto alla carovana in partenza. Ci apprestavamo a lasciare la nostra prima tappa, per andare in direzione nord, verso Rosario, cittadina universitaria conosciuta nel mondo per aver dato i natali ad un certo Ernesto Guevara Della Serna. Qui davvero eravamo una novità assoluta, visto che appena arrivati, senza sapere nulla di questo nuovo posto, non sapendo dove parcheggiare per la notte, un poliziotto – avete letto bene – ci fece posizionare all’interno di una fiera agricola, facendoci mettere i camion accanto alle ultime nuove attrattive riguardanti il mondo contadino.
La mattina ci svegliammo con capre, mucche pecore e fieno tutto intorno, e tantissima gente che curiosava intorno al nostro camion, chiedendosi chi eravamo ma soprattutto cosa ci facessimo là in mezzo. Fortunatamente il pomeriggio di quello stesso giorno, incontrammo dei ragazzi che facevano parte di un collettivo chiamato “PLANETA X”, che comprendeva dj, vj, bands, performer e altre forme artistiche. Con loro fu subito intesa a prima vista.Tutto il nostro breve soggiorno a Rosario lo passammo insieme, organizzando tra le altre cose il primo FREE PARTY OPEN AIR nella storia della città di Guevara.
Tra musica, serate in bettole che promuovevano la causa dell’Euskal Herria, partite a calcetto, cene e vari giri per conoscere la nuova cittadina che ci ospitava, le giornate che passavamo con il collettivo “Planeta x” in quel di Rosario, la città più grande della provincia argentina di Santa Fe, a 300 km a nord di Buenos Aires, erano davvero divertenti. Fu durante una passeggiata lungo il fiume Paranà che la nostra attenzione fu colpita da giganteschi silos colorati di viola, verde e rosso, con accanto un edificio decisamente particolare. Alla nostra domanda su cosa fosse quel posto, i nostri amici argentini ci spiegarono che era un’ex granaio che, grazie agli incentivi elargiti dallo stato, era stata convertita in centro culturale e in un museo d’arte contemporanea, chiamato M.A.C.R.O. Poco dopo ci siamo ritrovati a parlare con il responsabile del complesso per organizzare un evento sul terreno adiacente l’istituto, sovrastato da quegli enormi vecchi depositi di cereali che venivano illuminati nelle ore notturne. Insomma come location era veramente speciale.
Incredibile ma vero, ci fu dato subito il permesso ed entusiasti cominciammo ad organizzarci con i preparativi per quello che sarebbe stato il primo free party open air nella storia della città. La festa andò molto bene: oltre ai partecipanti, accorsero flotte di curiosi lungo il fiume o sulla strada, che si fermavano a lungo a scrutare quello che succedeva.
I giorni successivi lasciammo la città che vide i natali del mitico Ernesto Guevara, per partire verso Nord, alla volta di Missiones, la regione della terra rossa. Trovammo parcheggio in un’area naturalistica costellata da baracche rudimentali, nel barrio El Brede, sulla riva occidentale del Paranà, nei dintorni di Posadas, l’ultima cittadina prima del confine. Dall’altro lato dell’imponente corso d’acqua c’era infatti il Paraguay.
La mattina al nostro risveglio conoscemmo un signore che abitava proprio accanto a dove c‘eravamo accampati. Ci raccontò la storia di questa terra, devastata dalla Diga Yacyretà, costruita nel 1973 dopo un accordo fra l’allora Presidente Peron e il dittatore paraguayano Stroessner, con l’aiuto di finanziamenti americani e della Banca Mondiale.
La sua costruzione determinò l’inondazione di oltre 100 mila ettari di territorio incontaminato, lo sfollamento di circa 20 mila persone e la completa disgregazione d’intere comunità d’indigeni, come quella dei Mbya Guaranì che, dalle isole fluviali, furono costretti a rifugiarsi nei centri urbani, perdendo per sempre le loro coltivazioni ancestrali, l’uso della lingua tradizionale, condannati all’emarginazione sociale, senza alcun tipo di assistenza sociale e sanitaria. Fabbriche e quartieri sommersi avvelenarono le falde acquifere, portando all’estinzione di oltre 60 specie animali e vegetali. Quello che era una volta un lido florido, era stato trasformato così in un territorio desolato, contaminato e lasciato marcire da società senza scrupoli come la francese Dumez e l’italiana Impregilo alle quali venne affidata la costruzione dell’eco-mostro per produrre energia elettrica per l’Argentina.
Gli abitanti rimasti e le comunità indigene Guaranì, con disperata determinazione, hanno continuato a resistere in tutti i modi possibili. C’era da organizzare una giornata di sensibilizzazione, animata da canti, balli tradizionali, gruppi musicali e tanto altro. Ci offrimmo di mettere a disposizione tutta la nostra attrezzatura per questo evento.
La giornata in questione fu emozionante. Difficile descrivere la gratitudine di quella gente, qualcosa d’inimmaginabile da noi, in Occidente. Forse è proprio quando non si ha nulla o comunque si ha a disposizione pochissimo e s‘incontra qualcuno disposto ad aiutarti, magari proveniente dall’altro capo del mondo, che la riconoscenza diventa incredibile ed il legame che ne deriva non può che diventare grande e indissolubile. Ovviamente la protesta non poteva che continuare. Qualche giorno dopo ci fu un sit-in per bloccare il ponte San Roque González de Santa Cruz, che collega Posadas alla riva opposta del fiume, dove sorge la città Encarnación, in Paraguay e per questo di grande importanza strategica. Tutti uniti per dire no al sadico progetto chiamato “Hydrovia” che, per ampliare il commercio del Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale, prevedeva la creazione di un canale di 3.400 km, che tagliando le piane alluvionali del Pantanal avrebbe distrutto il fragile ecosistema tropicale e l‘identità dei tanti popoli che lo vivevano.
In questa terra così maltrattata, ma piena di persone tenaci e dall’umanità sorprendente, abbiamo lasciato un pezzo del nostro cuore. E siamo felici di aver saputo che il progetto Hydrovia sia stato bloccato e che nel nostro piccolo, con la nostra musica e con ogni mezzo a nostra disposizione, abbiamo contribuito, seppur per pochi giorni, al successo di una grande lotta durata anni.
A-K-77 a.k.a Alessandro Kola & Loredana Men