Soulcè & Teddy Nuvolari – Sinfobie (recensione)
Soulcè e Teddy Nuvolari hanno ufficializzato il loro connubio artistico con un disco, questo “Sinfobie” che è il naturale sequel di “Cromosuoni”, ep datato 2010. Seppure la fatica ufficiale sia venuta fuori diverso tempo fa in versione digitale, a giugno, non è casuale la data di pubblicazione della relativa recensione. L’estate è la stagione del mordi e fuggi, di una fruizione più superficiale della musica, magari mero sottofondo di un videoclip ambientato in spiaggia, tra forme abbondanti e calci ad un pallone. Ecco, “Sinfobie” è un lavoro che si assapora bene se servito nelle ore crepuscolari, meglio ancora se la pioggia ti attanaglia in casa e si è alla ricerca di un mood meno sudato, ma da gustare lentamente. Perché no, sfogliando il packaging cartonato del cd, con tanto di sgargiante booklet e poster celebrativo: un must per i cultori e la chiara prova di un lavoro mirato che non si è esaurito nell’aspetto musicale, ma che ha abbracciato tutte le percezioni sensoriali. E che, da una settimana, è disponibile su cd con l’aggiunta di un remix di Kappah per “Araba scalza”.
Questa la parola chiave: sensazioni. “Sinfobie” lascia percezioni variegate sulle papille gustative, e, volendo forzare un paragone culinario, è la trattoria dove puoi sostare quotidianamente. Qui il menu profuma di piacevole familiarità e si districa tra favole per bambini (Colori, Giocattoli), vecchie storie di vita e di mare (Novecento), posti sognati ma mai esplorati (Manhattan), sa diventare intenso quando si mutua Alessandro Mannarino in “Giovanni grida solo per la via” e chiude servendo per dessert l’entertainment di “Figli delle statue”, quando con Smania Uagliuns e Janahdan probabilmente si è alzato un po’ il gomito, non prima di aver porto una rosa con annesso bacio della buonanotte alla propria donna (Sogni d’oro). È una cucina dove non si parla di cucina e si rifugge dagli schemi e le convenzioni di tutte le altre, perché il cliente/ascoltatore è di casa e viene accontentato se alla ricerca di un luogo schietto. Fa nulla se la maggior parte delle persone poi preferisce il solito ristorante, magari un po’ artefatto, facile approdo per i gusti meno ricercati, più standard.
Soulcè è più cantautore che rapper, non solo nella stesura dei testi (talvolta, veri e propri racconti), ma anche nell’indole e nell’impostazione, sfruttando appieno la teatralità del suo mestiere. “Cromosuoni” e “Sinfobie”, a parte il simpatico utilizzo di calembour/neologismi –oserei dire caparezziano- per il titolo, condividono la capacità di raccontare le piccole cose, regalando spicchi di semplicità, senza l’ossessione di sganciare bombe, frasi ad effetto o suoni futuristici. È questo il reale punto di forza di un lavoro che difficilmente scade di tono, ma che suona compatto nella sua raffinatezza. Teddy Nuvolari srotola tappeti sonori congeniali all’estro di Soulcè, ancorati più a strumentazioni che a samples e campionamenti e difficilmente inquadrabili in contenitori/generi ben definiti. Il padrone di casa li impreziosisce con pathos e notevole capacità di interpretazione. Emozionando. “Sinfobie” è un disco che emoziona, che cattura l’ascoltatore: a questi viene facile immedesimarsi nella normalità, una qualità che l’hip hop italiano ha perso e spesso subordinato a frivolezze e clichè. “Lasciami andare” con Mecna è la punta di diamante di un lavoro che, con l’inizio dell’autunno e l’arrivo delle piogge, è necessario per quanto cerebrale. Finalmente.
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Nicola Pirozzi