Skardy: il profeta del reggae in veneziano
Intervista all’ex frontman dei Pitura Freska, uno dei pionieri del reggae veneto ma anche italiano oltreché antiproibizionista convinto
Sir Oliver Skardy è la storica voce dei Pitura Freska, la band veneziana che negli anni Novanta univa sonorità reggae a testi in dialetto per parlare della realtà sociale in chiave critica ma con ironia scanzonata. È merito suo e dei Pitura aver fatto di una realtà locale come Venezia e dintorni, una voce da divulgare a livello nazionale ponendo, con la cantata in veneziano, problematiche e realtà suburbane dimenticate dalla grande politica e dalla realtà amministrativa locale. Uno stile ancora vicino alle produzioni dello Skardy solista, attivo sin dai primi anni Duemila, dopo lo scioglimento dei Pitura. Il suo ultimo album, Figa e sfiga, risale al 2021, ma solo qualche mese fa il frontman, che fa il bidello in un istituto veneziano, ha ripreso Marghera, uno dei pezzi più noti della sua carriera coi Pitura, e ne ha registrato il video ambientandolo in una rigogliosa piantagione di cannabis. D’altronde il testo non lascia dubbi:
Ogni anno in Italia mor 30mila persone de alcol
Ogni anno in Italia mor 20mila persone di tabacco
Ogni anno mor 1.000 persone di eroina
Ricordete: di marijuana non xe mai morto nissuni!
L’amore per la pianta insieme alla critica anti-industrialista, la protesta politica, l’invettiva contro il potere ma anche le canzoni d’amore, di rabbia, di solitudine sono parti di un discorso musicale e poetico proprio di Skardy che raggiungiamo al telefono l’indomani di una trasferta a Roma, una delle tappe che lo hanno visto e lo vedranno in giro questa estate sui palchi d’Italia.
Skardy, c’è un concerto dei Pitura Freska che ricordi in maniera particolare e perché?
Delle centinaia che abbiamo fatto, ho ricordi belli e bellissimi. Non saprei sceglierne tra loro, forse quelli in cui ho dato inizio a qualche storia sentimentale. Quelli che però finiscono per venirti in mente più spesso, sono i ricordi peggiori, mi riferisco ai concerti in cui c’erano poche persone.
Nei panni di spettatore, ce ne fu uno memorabile, quello dei Pink Floyd a Venezia nel 1989, al quale non sei riuscito ad arrivare, che però ha dato vita a una bella storia. Ti va di raccontarcela?
Già, sono stato lautamente ricompensato per il fatto di non aver potuto assistere a quel concerto. Ne ho scritto una canzone, Pin Floi, che senza tanta pubblicità ha fatto il giro del mondo e mi chiedo ancora oggi come sia stato possibile.
Da un altro mitico concerto, a cui però sei arrivato per tempo, nacquero i Pitura Freska. Sto parlando del 27 giugno 1980 quando a Milano suonò Bob Marley in una delle due uniche tappe in Italia della sua vita.
I Pitura Freska in realtà esistevano già, solo che erano un gruppo di hip hop demenziale. Dopo aver assistito a quel concerto sono tornato a casa e ho provato a sperimentare, facendo reggae in dialetto.
Conservi delle emozioni di quella notte in cui Marley cambiò il corso della tua vita?
È stato abbastanza impressionante perché quel giorno a Milano c’erano 100mila persone che ballavano sia in campo sia sugli spalti. È stato magico. Il giorno seguente, come programmato, andai a vedere i Led Zeppelin a Zurigo e fu davvero incredibile, ma niente, niente, in confronto a Bob Marley. Quel concerto rappresenta ancora oggi qualcosa di unico per me.
Da lì la scelta di dedicarti al reggae, in dialetto. Una scelta a quel tempo inusuale. Come mai?
Guardando Marley mi sono reso conto che coi The Wailers non cantavano in inglese. Cantavano uno slang, il patwah detto anche patois, che è praticamente il dialetto giamaicano. Così ho fatto un calcolo: se loro cantavano l’inglese con un dialetto, anche noi potevamo fare reggae con un dialetto. Ed è andata benissimo. Siamo stati i primi a farlo e adesso il reggaeton ha conquistato il mondo. Purtroppo siamo stati trascurati perché viviamo in un paese che non ascolta la musica con un certo ritmo. Qui fondamentalmente si ascolta musica melodica e per questo in Italia il fenomeno si è sviluppato poco. Ci sono ancora gruppi che portano avanti questa idea e alcuni di loro sono riusciti a diventare internazionali. Il reggae è un fenomeno mondiale e rispetto agli altri generi musicali è di un altro pianeta.
In Italia avevamo il Rototom, oramai da anni in Spagna, che ogni estate raduna un pubblico internazionale sterminato. Voi ne siete stati tra i protagonisti della prima ora, vero?
Sì, con i Pitura Freska abbiamo partecipato alla prima edizione in assoluto e credo di averci suonato ancora 4/5 volte prima che il festival si trasferisse in Spagna perché qui era diventato difficile fare certe cose. In Spagna, poi, non ci hanno mai invitato.
Uno dei temi che ti contraddistingue è la lotta al proibizionismo. Un impegno costante per portare la verità su una pianta, la marijuana, intorno alla quale di verità ce n’è sempre poca.
Tu sai benissimo che in Italia il livello culturale è molto basso. Ai ragazzi a scuola viene insegnata la storia fino al 1948, come a dire che dal 1948 a oggi non è successo niente. Basta accendere la televisione e fare un giro dei canali per capire come siamo messi. Siamo rimasti a 50 anni fa, soprattutto sui diritti, sociali e civili. Mi manca molto l’Italia in cui sono cresciuto. Erano gli anni ‘60 e ‘70, allora si viveva con poco ma si era comunque felici.
Qualche mese fa hai pubblicato il video di Marghera, una canzone storica dei Pitura Freska che dice: “L’erba no ga fato mai mal a nissun”. Nel video sei nel mezzo di una ricchissima piantagione, possiamo dire dov’è?
Ma sì, è in provincia di Verona ed è una piantagione di canapa legale.
Oggi lavori come bidello in una scuola. Che idea ti sei fatto degli adulti di domani?
Poveracci, mi dispiace per loro. In questi anni le scuole hanno perso molto. Non sono più dei luoghi dove c’è istruzione e aggregazione. È stato sacrificato il personale e oggi la scuola viene concepita più come casermetta, come collegio, e i ragazzi ne soffrono molto. Purtroppo ci sono ben pochi adulti che sono disposti ad andar loro incontro.
Che ne pensi delle forme di protesta con cui i giovani attivisti mettono al centro il tema dell’ambiente e della salute del Pianeta?
Credo che l’unico loro difetto sia il metodo con cui protestano. Il fatto di lanciare minestre sui quadri o di sporcare i monumenti non dà un’idea di protesta; dall’esterno viene interpretata come un dispetto e di conseguenza la gente non lo apprezza. Dovrebbero inventarsi delle formule nuove di protesta per catturare l’attenzione e al contempo farsi voler bene.
La protesta è stata una chiave anche dei Pitura Freska…
In generale, in quegli anni la musica era di protesta e di proposta. Così abbiamo fatto anche noi. E così faccio anche adesso. Penso che la musica sia uno strumento che può portare la gente a riflettere su certe scelte.
Come l’idea di dividere Venezia da Mestre. Ne hai fatto un pezzo, Venessia Comune Giamaican.
Sì, la canzone è una presa in giro ai referendari che volevano dividere i comuni di Venezia. Fare Venezia da una parte e la terraferma dall’altra. Ne è venuta fuori una cosa comica. La politica non finisce mai di stupire e riesce sempre a rendersi ridicola. Costa tanti soldi e rovina la vita alla gente.
Le canzoni dei Pitura Freska suggeriscono che una visione diversa del mondo, con meno inquinamento e maggiore rispetto per la natura, passa anche da alcune scelte di libertà. La libertà si può insegnare?
Certo, prendendo esempio dai posti dove si vive meglio, dove ci sono più nascite che morti, dove c’è più sviluppo. Purtroppo la classifica dei posti migliori non si fa mai e probabilmente questa cosa è anche voluta.
Ascolti ancora musica?
Diciamo di sì, quando ho tempo più che altro. Oggi è un po’ difficile vivere la musica come la vivevo da giovane. Se devo scegliere preferisco ascoltare gli artisti degli anni in cui sono cresciuto, dischi sentiti e strasentiti, ma che ti fanno sempre scoprire qualcosa.
Quando ho detto al direttore di Dolce Vita che ti avrei intervistato, era entusiasta. Per lui sei un mito vivente. Ti senti cosi?
Macché! Sono 23 anni che lavoro per prendere una pensione del cazzo e mi chiedi se mi sento un mito?
