High times

Singapore: impiccato trafficante di marijuana

Continua la lunga lista di esecuzioni capitali per traffico di droga a Singapore

Mani amanettate

Certo non vorremmo mai dover leggere o diffondere questo genere di notizie, ma è questa la cruda realtà dei fatti e tocca riportarla: lo scorso 26 luglio a Singapore un uomo di etnia malese di 49 anni, di cui non è ancora stato reso noto il nome, è stato impiccato per traffico di marijuana.

Sfortunatamente la città-Stato del sud-est asiatico non è nuova a questo genere di esecuzioni capitali e quest’ultima, costituisce “solo” la sesta ad essere stata messa in atto nel giro di 4 mesi.

A darne notizia è stata l’attivista Kokila Annamalai, co-fondatrice di Transformative Justice Collective (TJC), un’organizzazione che lavora per una riforma della giustizia penale nella Repubblica di Singapore.

L’UOMO AVEVA INTENTATO CAUSA PER PREGIUDIZIO RAZZIALE

L’uomo di etnia malese giustiziato per traffico di cannabis era uno dei 17 prigionieri che avevano intentato una causa accusando il governo di Singapore di pregiudizi razziali nei procedimenti giudiziari per pena capitale.  Sfortunatamente, la causa è stata respinta e chiunque sia stato coinvolto nel caso sarebbe stato preso di mira, persino l’avvocato difensore, riportano gli attivisti singaporiani per i diritti umani di TJC.

Il 49enne di etnia malese era solo una delle tante persone appartenenti a minoranze etniche nel braccio della morte a Singapore, dove il 74% della popolazione è di etnia cinese.

Un’indagine delle Nazioni Unite del 2021 ha portato il governo di Singapore a giustificarsi dichiarando che la razza non abbia alcuna attinenza con le condanne, ma rifiutandosi altresì di fornire dati che attestino che le minoranze etniche non sono colpite in modo sproporzionato dalla pena di morte e più in generale all’interno del sistema carcerario singaporiano.

PENA CAPITALE PER TRAFFICO DI DROGA A SINGAPORE

Grazie ad attivisti come Kokila Annamalai, sappiamo quando gravi ingiustizie durante la Guerra alla Droga si verificano nelle zone più lontane del globo. Persone come Annamalai sono stanche delle esecuzioni per reati legati alla droga, soprattutto quando si tratta di cannabis e altri crimini innocui.

Nononostante i loro sforzi però sono ancora decine le persone nel braccio della morte a Singapore, la maggior parte delle quali condannate per reati legati alla droga e Singapore mantiene una delle legislazioni più draconiane del pianeta, che include l’impiccagione come punizione per il traffico di oltre 15 grammi di eroina, 30 grammi di cocaina, 250 grammi di metanfetamina e 500 grammi di cannabis.

Il tutto stride con le politiche legate all’allentamento della stretta sulle droghe a cui stiamo assistendo in tutto il mondo, in particolare quelle leggere come la cannabis e con il fatto che la vicina Thailandia stia procedendo verso la depenalizzazione legata al consumo e alla coltivazione della pianta.

LA PENA DI MORTE NON PUÒ ESSERE UNA SOLUZIONE

Una delle organizzazioni non governative più attive contro la pena di morte, Amnesty International, sul caso del Singapore e della sua guerra alle droghe si è espressa come segue:

“Ci sono prove schiaccianti che le politiche punitive in materia di droga, inclusa l’imposizione della pena di morte per l’uso e il possesso di droga, non risolvono i problemi associati alla droga. Il governo del Singapore dovrebbe concentrarsi su approcci basati sull’evidenza e sulla comunità radicati nel rispetto della salute pubblica e dei diritti umani per evitare la tossicodipendenza e altri danni alla società che possono derivare dall’uso di droghe.

“L’uso della pena di morte da parte di Singapore non è al passo con la tendenza globale all’abolizione e il Paese è tra i pochi che ricorrono ancora all’esecuzione di coloro che sono stati condannati per reati legati alla droga. Dopo una breve pausa senza esecuzioni a Singapore, chiediamo alle autorità di fermare una temuta nuova ondata di impiccagioni. Il governo deve anche stabilire urgentemente una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni e rivedere la portata della pena di morte per reati legati alla droga come prima mossa verso la sua piena abolizione”.

Leggi anche: Gli esperti ONU: “Porre fine alla guerra alla droga”



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