Silvio Berlusconi: la cannabis non va demonizzata, ma dico no alla legalizzazione
Anche Silvio Berlusconi dice la sua sulla cannabis, e lo fa in una lunga intervista apparsa sulla rivista Panorama. L’ex presidente del Consiglio e leader di Forza Italia, si conferma contrario alla legalizzazione, ma mostra sul consumo di cannabis un atteggiamento decisamente più aperto di molti altri parlamentari del centro-destra, affermando tra le altre cose che l’uso di cannabis non va drammatizzato, né criminalizzato.
«Legalizzare la cannabis trasformando l’uso di droga in un comportamento socialmente accettato ed accettabile, mi sembra un grave errore, culturale prima che giuridico – ha affermato Berlusconi durante l’intervista – La droga, anche quella leggera, è il contrario della libertà, e aggiungo della dignità della persona. Lo so, in apparenza sembrerebbe un ragionamento liberale, quello secondo il quale ognuno più fare quello che vuole, e quindi se una persona vuole drogarsi è una sua scelta personale, nella quale lo Stato non dovrebbe entrare. Ma è un ragionamento superficiale. La droga, anche la cosiddetta droga leggera non soltanto fa male alla salute, ma porta ad una perdita di coscienza, di consapevolezza e quindi di libertà».
«Lo stato liberale – prosegue Berlusconi – non è affatto uno stato che permette ai cittadini di disporre del proprio corpo in maniera assoluta. Non permette per esempio la vendita di organi a scopo di lucro, oppure vincola la vendita di molti farmaci che potrebbero essere pericolosi per la salute ad una ricetta medica che dimostri che siano adatti al paziente.
Poi certo occorre essere realistici. So bene che l’uso della cannabis è molto diffuso fra i giovani, e che senza dubbio la gran parte dei consumatori non sono né criminali, né tossicodipendenti, né aspiranti tali. Esiste un uso ricreativo delle cosiddette droghe leggere che sarebbe sbagliato drammatizzare o criminalizzare. Ma consentirne la vendita, trasformare l’uso di droga in un comportamento socialmente accettato ed accettabile, mi sembra un grave errore, culturale prima che giuridico».