HipHop skillz

Shade – Clownstrofobia

recensione

Nel rap c’è questo luogo comune che chi è bravo in freestyle, non lo è altrettanto nei testi. La storia però ci insegna che non per tutti vale questo cliché.  E per Shade? Dopo “Mirabilansia”, rilasciato lo scorso Marzo e distribuito in free download, quest’anno è uscito “Clownstrofobia”, primo album ufficiale del vincitore di MTV Spit uscito per Warner.

Com’è questo disco?

Se per essere efficaci in freestyle bisogna usare l’istinto, essere impulsivi e impetuosi, questo tipo di approccio non funziona con le strofe che richiedono revisione, attenzione e cura per i dettagli. Ed è qui che Shade sembra essersi distratto.

Senza dubbio realizzare un album con l’incipit “devo scrivere questo e quest’altro per Tizio e Caio” è fondamentalmente un po’ paraculo, ma con “Clownstrofobia” ci troviamo in posizione diametralmente opposta: a fine disco si ha l’impressione che sia stato scritto di fretta e furia, che siano stati trascurati i particolari.

Alcune barre risultano forzate e i ritornelli sono privi di originalità, ed è curioso visto che, come freestyler, si è sempre distinto per l’originalità delle sue rime. Nei testi gli si richiede quello step in più della classica punchline per ricevere il blow del pubblico.

Tu mi vedi stupido per le cose che pubblico,
sappi che non sei l’unico, persino io mi giudico

Il fatto che poi non ci sia un concept dietro non aiuta, perché si passa troppo spesso da brani leggeri come “Seventeen idol” a episodi più introspettivi come “Patch Adams”, togliendo coesione e spaesando l’ascoltatore, cosa che potrebbe magari apprezzare la sua ex “Stronza bipolare” .

Shade sa utilizzare bene il rap come strumento –tecnica, wordplays, extrabeat-, a volte ha ottime idee come la traccia “Netflix”, ma purtroppo sono solo casi isolati: gli episodi più memorabili sono quelli in cui si sorride.

Per loro sei la bella addormentata
ed io sono Bill Cosby

E cosa c’è di male se sono più le volte in cui ci fa sbellicare piuttosto che farci riflettere? Semplicemente, a far storcere il naso non è la sua goliardia, ma il fatto che siamo di fronte ad un disco ufficiale, e per farci ridere il rapper torinese si è sempre contraddistinto per gli Shaday. Un disco dovrebbe avere ben altri contenuti.

“Clownstrofobia” è un lavoro discreto -i suoi fan più affezionati non rimarranno delusi- ma senza una direzione precisa: se a livello di sound grazie ai Drops To Zero mantiene una struttura coerente per tutta la durata dell’ascolto, i brani sembrano una serie di singoli raggruppati come in una raccolta.

Gli interventi di Blue Virus e Fred De Palma regalano punti diversi, senza mai rubare lo spazio al protagonista. Non offrono, in compenso, un concreto valore aggiunto nelle tracce di cui sono ospiti.

In conclusione

Se in freestyle Shade ha sconfitto chiunque abbia incontrato, la prossima sfida per la sua carriera è probabilmente anche la più ardua che debba mai affrontare: mettersi a nudo mostrandosi al pubblico come Vito Ventura.

In “Clownstrofobia”  ci ha provato: si percepiscono le sue emozioni, ma si intravedono solamente piccoli spiragli del suo privato, non si riesce mai ad entrare completamente in empatia con lui.

E come può fare a mostrare il vero Vito Ventura? Mettendo da parte i il suo lato comico per raccontare i suoi sentimenti, e superare una volta per tutte la sua clownstrofobia, perché diciamocelo: chi mai prenderebbe sul serio un pagliaccio triste?
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Francesco Theak



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