Sfruttati
In occasione dello sciopero generale di venerdì 29 novembre proviamo a comprendere meglio il punto di vista di una generazione che vive il disagio di profondi cambiamenti del mondo del lavoro
Sfruttati, sfrattati da un mondo che non sentiamo più nostro.
Quello del lavoro.
Ci sentiamo inadatti e mai all’altezza.
Poco compresi e poco ascoltati.
Ci offendono, ci deridono, ci urlano contro
quelli delle generazioni passate.
Non siamo bamboccioni.
Non siamo “lazy”, pigri.
Non siamo svogliati.
Ma non possono vedere quello che vediamo noi, non possono vivere quello che viviamo sulla nostra pelle.
Frenesia, caos e insicurezza.
Incertezza sul futuro, ma che dico, sul presente.
Nel mezzo dei cambiamenti, grandi e piccoli, si perde la bussola.
Ci si sente spaesati.
Cadono i punti fermi.
Cadono i cardini.
E come tutte le generazioni del cambiamento, siamo noi al centro di questa tempesta.
Anche se poi le trasformazioni e le crisi riguardano tutti.
Generazione mille euro, dicevano, io direi generazione precaria.
Un lavoro fisso non c’è. Le vecchie professioni sono volate via in un attimo con questo capitalismo globalizzante e globalizzato.
Anche quando lo abbiamo, il lavoro fisso, ci attanaglia, ci assorbe.
Poi lo odiamo, e non ci coinvolge più.
È come un nemico che ti mangia. Un tira e molla tra doverlo fare e fare altro, semplicemente vivere.
Avere più tempo per se stessi, per i propri cari, per le proprie passioni, per il proprio
benessere.
Siamo sempre rinchiusi in questa morsa.
Guadagnare per pagare bollette, affitto, spese quotidiane e cibo.
Lavorare ma non riuscire ad arrivare a fine mese.
Lavorare e non riuscire a risparmiare.
Ci incolpiamo, ma non siamo noi incapaci.
È che il sistema ce lo rende impossibile o molto difficile (nei migliori casi).
E no. Il Sistema non è un’entità astratta.
È l’insieme della governance sociale, economica e politica.
Un sistema che ha depauperato la società con una mano, e con l’altra l’ha distratta con un
benessere apparente e materialistico.
Vuoto, effimero.
E noi semplicemente non vogliamo più restare a guardare.
Ci siamo noi, e dall’alto le grandi corporation e i grandi CEO, CTO e acronimi simili che
indicano l’importanza del ruolo.
Sì, ci sono i ricchissimi, sempre meno, ma sempre più ricchi.
Un elite che ha in mano la ricchezza globale.
Cannibali che non vogliono condividere.
Anzi.
Speculano e sfruttano.
E noi non siamo nemmeno messi così male.
Ci sono zone franche create dal capitalismo da cui fagocitare risorse e vite umane.
Dove sfruttamento è la norma e i diritti sono un miraggio.
È un mondo diverso da quello delle generazioni passate.
C’è sempre stata una ciclicità nel dispiegarsi della storia, nel dipanarsi di crisi e benessere.
Verissimo.
Ma quello che patiamo noi, è l’incertezza del presente.
La speranza che le cose debbano cambiare si affievolisce sempre più per un crudo realismo che non ci ascolta.
Non ci sono più le istituzioni e la politica ad accogliere le nostre richieste.
Sembrano che proteggano solo lo status quo.
Chiediamo cambiamenti immediati, non da domani, ma da oggi.
Equi salari, ridistribuzione delle ricchezze, un welfare più ampio, una sanità pubblica accessibile per tutti, un’assistenza statale ai meno abbienti e ai più poveri.
Non è utopia aspirare ad un mondo senza confini e conflitti.
Non è sognare, desiderare un mondo migliore.
Non è peccato agognare un migliore equilibrio vita-lavoro.
E noi non siamo sognatori, siamo esseri sfruttati che vogliono alzare la testa.
Non ci arrendiamo anche se talvolta ci buttiamo a terra.
Abbiamo una visione, e sappiamo dove vogliamo andare.
Forse non vedremo mai i frutti dei nostri sacrifici, delle nostre battaglie.
Intanto prendiamo consapevolezza e condividiamola.
La coscienza che il cambiamento è necessario e ineluttabile.
Ma vogliamo che il cambiamento vada nella direzione che ci auguriamo.
Anzi che già ci eravamo augurati tempo addietro.
Quando speravamo che: “Un altro mondo è possibile”.
Stiamo seminando, sicuramente qualcuno poi raccoglierà.
Speriamo che questa pianta germoglierà e sarà più generosa con tutti.
Lo speriamo per noi e per i nostri figli, nipoti e giovani che saranno dopo di noi.
Oppure la Storia ci darà torto.
E allora saremo stati solo degli illusi e dei fanatici già dal lontano 2001.
Testo a cura di Fabrizio Fiorilli, in arte Fahbro, i suoi riferimenti QUI