Prime armi

Setup della growroom: illuminazione

Un uomo controlla una piantagione di cannabis indoor dove ci sono apparecchiature importanti di illuminazione

Le prime installazioni di coltivazioni indoor europee risalgono alla prima metà degli anni ’70 in Olanda poiché dovettero studiare un metodo efficace per produrre al chiuso e sopperire al rigido clima nordico.

Da lì in avanti stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione tecnologica. L’illuminazione rappresenta l’aspetto più affascinante della coltivazione indoor; la luce è vita e noi coltiviamo dove vita non c’è e diciamo la verità: basta una manciata di kelvin e i cavalieri di un timer per sentirsi un piccolo “Dio”, almeno per i primi dieci minuti.

Prima di iniziare vorrei fare una brevissima premessa: sono fan delle lampade a scarica e non me ne vergogno. Ma andiamo per gradi.

La macro-differenza delle lampade in commercio è la temperatura. La temperatura, chiaramente non è quella emessa da un bulbo, bensì la colorazione della luce che viene misurata in gradi Kelvin. Si parla di luce fredda quando le tonalità emesse si avvicinano al blu, mentre la luce calda ha tonalità arancio/rosse.

Luce calda e fredda differiscono anche per i modi di utilizzo: uno spettro a 6400 °K è perfetto per favorire una crescita vegetativa vigorosa e internodi compatti, un bulbo caldo a 2700 °K invece creerebbe internodi distanti e piante esili, è perfetto però per la formazione dei fiori simulando perfettamente la luce di mezza estate, quando in natura le piante di cannabis cominciano a fiorire.

Come accennato prima abbiamo circa 40 anni di storia di coltivazione indoor, anche se la vera e propria svolta è leggermente più recente: le grandi growroom olandesi e svizzere prima e americane e canadesi poi risalgono a metà degli anni ’80 periodo in cui vennero fondate le prime storiche banche del seme.

DidascaliaASSEMBLAGGIO DEL KIT LUCE

È bene sapere che il bulbo, inteso come lampada, non è sufficiente per poter illuminare la nostra grow: un kit luce è infatti composto da tre componenti: bulbo, un ballast (o comunemente riconosciuto come alimentatore) ed un riflettore. Partiamo per gradi. Quando parliamo di bulbo ci riferiamo alla sola lampadina, quell’oggetto di vetro che viene avvitato al porta lampada. Nell’uso domestico non ci dobbiamo quasi mai preoccupare di affiancare un ballast, le comuni lampadine a risparmio energetico, così come le CFL, hanno un ballast integrato.

Le lampade a scarica, al contrario, necessitano di un ballast specifico per essere accese. Ne possiamo trovare di diversi tipi, elettronici o magnetici. I primi sono sicuramente più costosi e più performanti rispetto ai secondi, scaldano molto meno e rappresentano una certezza per la vostra sicurezza. Il mio consiglio è di partire sempre con uno di tipo economico e valutare l’upgrade in seguito, prima di comprare lampade da centinaia di euro facciamo G/W con le HPS da 70. Questo consiglio mi fu dato anni fa da un utente esperto del forum e fu per me illuminante, perché sincero e vero.

Se con i ballast la scelta è limitata, per i riflettori potrete sbizzarrirvi: i cataloghi sono pieni di prodotti per ogni fascia di prezzo, ognuno con la propria caratteristica, materiali e finiture.

Come avrete potuto notare, o almeno lo spero, in questo spazio editoriale non viene, e non verrà, fatta menzione di prodotti o aziende, tracceremo le linee guida e poi starà a voi cogliere le opportunità che vi offriranno i vari rivenditori.

A me piace dividere i riflettori tra quelli raffreddati e non. Solo chi ha fatto microgrowing può capire cosa significa dover combattere con le temperature e spesso nelle nostre growbox domestiche l’HPS ci sembrerà un lusso e valuteremo altre alternative, LED, CFL e altre soluzioni che non saranno paragonabili alla nostra vecchia lampada a scarica. Esatto, per il nostro problema abbiamo i riflettori raffreddati. Possono avere la forma classica di un riflettore o cilindrica e le cose che devono essere presenti sono sostanzialmente due: fori di ingresso e uscita per il tubo flessibile dove transiterà l’aria che raffredderà il bulbo ed un vetro a sigillare. Il più famoso ha forma cilindrica, è interamente di pyrex e deve essere abbinato a del materiale riflettente generalmente venduto insieme.

COMPECT FLUORESCENT LIGHT A.K.A. CFL.

Come accennato precedentemente, per le CFL non abbiamo bisogno di alimentatore perché integrato, quindi ci basterà scegliere la gradazione kelvin che più vi aggrada, avvitarla al riflettore (che sia rinforzato o specifico perché il peso della lampada piegherà la staffa) e sarà già pronta per l’uso.

Si tratta di un’evoluzione del neon, come i neon, i tubi vitrei delle CFL, sono caricati di gas nobile e materia fluorescente, producono poco calore e hanno una scarsa emissione di lumen. Si consiglia sempre di tenerli molto vicini (5cm) dalle punte delle piante proprio per questi fattori.

La vita media di questo tipo di lampade si aggira intorno tra le 10mila e le 15mila ore di utilizzo, oltre cominceranno a perdere luminosità, ve ne accorgerete anche ad occhio nudo.

Setup della growroom: illuminazione

MH & HPS

Un vero evergreen. Se non badiamo alle nuove HPS 400w possiamo dire che è una tecnologia che più o meno è rimasta invariata negli ultimi 25 anni. Si accendono entrambe con lo stesso ballast, a patto che siano dello stesso wattaggio, e hanno una buona durata. Un bulbo può durare almeno 3 cicli senza subire un calo delle prestazioni. Differiscono per il tipo di spettro emesso, la MH è una luce fredda adatta alla crescita vegetativa, l’HPS ha tonalità rossastre, perfette per la nostra fioritura.

Esistono diverse taglie, dalle piccole 70w fino alle professionali 600/1000w. Per l’uso domestico e coltivazioni fino ad un metro quadrato si possono usare i tagli 150w, 250w e 400w, meno watt coprono meno superficie e viceversa.

Per chi non vuole complicarsi troppo la vita con il cambio bulbo e preferisce acquistare una sola lampada per ogni fase la soluzione migliore è un bulbo con lo spettro AGRO, si tratta di uno spettro a 2100 °K che però vanta nel suo spettro delle tonalità blu, che lo rendono adattabile anche alla crescita vegetativa delle nostre piante, inoltre, dai dati dei costruttori si evince che, se paragonati ad un bulbo HPS dello stesso wattaggio, l’AGRO ha prestazioni leggermente migliori, infatti generalmente emettono più lumen dei bulbi dedicati alla fioritura.

LED

I più amati dai novelli grower: quando si parla di LED si formano vere e proprie fazioni. Purtroppo è stata fatta molta confusione sull’argomento, strategie di marketing furbette per abbindolare il neofita di turno e una gamma troppo vasta di prodotti proveniente dall’Oriente di dubbia fattura.

Sia chiaro, la mia non è una critica ai produttori cinesi, in quel mercato ci sono validissime proposte come vere e proprie truffe molto difficili da riconoscere, nomi simili tra loro, oggetti identici e dati tecnici difficili da decifrare.

Quando si acquistano certe lampade è sempre bene sapere a cosa si va incontro: sono molto costose se si vuole un prodotto di qualità alta, quelle a buon mercato spesso sono tecnologie datate. Il mio consiglio è di guardare oltreoceano, canadesi e americani hanno risultati mostruosi, o, se abili nel fai-da-te, cercare una guida online e munirsi di saldatore stagno e tanta pazienza, altrimenti valutare altre alternative. Vedi sopra HPS.

Coltivazione illuminata in growroom

A cura di Gam
in collaborazione con enjoint.com



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