Cosa rischia la cannabis light in Italia: parola agli avvocati
Dal divieto sui prodotti da svapo contenenti CBD al proibire tutta la cannabis light. Facciamo luce su due manovre che potrebbero cancellare in un attimo il settore verde italiano
È un momento particolarmente delicato per il settore della cannabis light in Italia. Che, in prossimità delle elezioni europee, si trova bersagliato dalle forze politiche di governo.
Se da un lato infatti è stata vietata la possibilità di vendere prodotti da svapo contenenti CBD, dall’altra è stato presentato un emendamento che vorrebbe addirittura proibire tutta la cannabis light e i suoi derivati bloccando di fatto anche la produzione di oli.
Una manovra folle, che se approvata raserebbe al suolo gran parte dell’industria verde italiana. Che oggi, secondo i primi dati diffusi, coinvolgerebbe circa 1.500 imprese e 15mila persone. Che si troverebbero inevitabilmente senza lavoro. La Lega addirittura chiede di vietare immagini che raffigurino la pianta di canapa (intera o anche parti di essa), su “insegne, cartelli, manifesti e qualsiasi altro mezzo di pubblicità per la promozione di attività commerciali”.
Molte delle associazioni di settore però, non hanno perso tempo per esprimere tutto il loro dissenso. E si sono già attivate per fermare questa pazzia.
Ed oggi, insieme all’avvocato Simonetti e all’avvocato Miglio di Tutela Legale Stupefacenti, vogliamo fare il punto della situazione.
Non solo svapo, il governo vuole vietare tutta la cannabis light: facciamo chiarezza
Partendo dalla questione svapo, ci può riassumere che cosa sta accadendo e da dove arriva questa decisione di vietare i prodotti da inalazione contenti CBD
I prodotti da svapo costituiscono un “problema giuridico” di non poco conto.
Generalmente, il tema giuridico riguarda la contestazione quale succedaneo di liquidi per inalazione, i quali si ritiene debbano essere sottoposti a regime fiscale.
A titolo di esempio, si pensi alle numerosissime pronunce giudiziarie intervenute con riguardo ai due componenti presenti in tutti i liquidi per sigaretta elettronica, ovvero il glicerolo vegetale (un additivo vegetale, particolarmente viscoso e denso che conferisce la fumosità di un liquido) o il glicerolo propilenico (un composto chimico liquido inodore, incolore di sapore dolciastro che viene usato nelle industrie alimentari, farmaceutiche e cosmetiche per diluire altri componenti).
Con riferimento al tema del CBD quale liquido da inalazione, esso non costituisce un problema come principio in sé: come abbiamo più volte dimostrato in moltissimi casi giudiziari, anche dopo la sentenza Kanavape, esso non ha efficacia drogante.
Certamente, la battaglia sul CBD che abbiamo in corso al TAR (udienza definitiva il prossimo ottobre) non attribuisce carattere di stabilità commerciale a questo prodotto.
Infatti, nonostante abbiamo ottenuto la sospensiva dell’inserimento del CBD quale droga d’abuso nella dedicata tabella del d.P.R. 309/90, il CBD (come per altri liquidi) può costituire oggetto di contestazione in sede fiscale secondo il Testo Unico Accise.
Ai sensi di questa disposizione di legge, infatti, sono assimilati alle sigarette, al tabacco da fumo e ai liquidi da inalazione i prodotti costituiti esclusivamente o parzialmente da sostanze diverse dal tabacco o dai liquidi già previsti, i quali rispondono agli altri criteri tali da farli intendere quale prodotto da fumo-equivalente. Con riferimento al liquido da inalazione, quindi, si contesta in via analogica che il CBD quale liquido debba scontare l’accisa perché assunto per via inalatoria
Come si sta impostando la difesa?
Alcuni nostri clienti (aziende) si erano rivolti in via precauzionale ad ADM (Agenzie delle Dogane e dei Monopoli, ndr) al fine di chiedere se le infiorescenze commercializzate potessero essere sottoposte ad accise. Ma, a fronte di un diniego da parte degli uffici competenti, hanno continuato a commercializzare il c.d. CBD sotto le vesti del prodotto agricolo (fiori recisi secchi, floricoltura-florovivaismo).
Secondo l’impostazione strategica del nostro studio legale, nelle contestazioni elevate, difetta l’elemento soggettivo della volontà di commercializzare un prodotto eludendo l’accisa che, proprio ADM, aveva detto che non doveva essere pagata!
Le aziende, quindi, hanno commercializzato i prodotti a base di c.d. cannabis light, privi di efficacia drogante, nella convinzione di poter mettere in vendita un prodotto i) in linea con il dictum di Cass. S.U. n. 30475/2019 (perché privo di efficacia drogante) e ii) privo di gravami fiscali in quanto liberamente vendibile al pubblico senza il tramite della rete di vendita ufficiale di ADM.
Cambiando discorso, cosa ne pensa del tentativo del governo di vietare la cannabis light e i suoi derivati?
Il disegno di legge del Governo è gravissimo e violativo dei basilari diritti imprenditoriali e costituzionali di coloro che esercitano attività aziendale nella filiera canapicola.
In particolare, già indicare il limite di 0,2% THC è segno di una conclamata ignoranza normativa, posto che la soglia in questione in Europa è pari a 0,3% THC.
Inoltre, il disegno di legge tenta di cancellare con un colpo di spugna tutte le numerose evidenze scientifiche le quali attestano come su 1 grammo di canapa, il THC non superiore a 0,5% non ha efficacia drogante.
Oltre a ciò, l’ignoranza normativa si annida con riferimento alla disciplina della filiera della floricoltura e del florovivaismo, le cui discipline permettono la produzione e circolazione di fiori recisi anche secchi, oltre che di piante vive.
In ultimo, elemento gravissimo è la frustrazione economica che – tramite questo spot pre-elettorale – il Governo ha causato nei confronti del comparto canapicolo, costretto a calmare i propri clienti di fronte ad un clamore mediatico privo di ragionevolezza giuridica.
Ha dati più precisi, rispetto a quelli che girano online, riguardo al danno economico inevitabile che l’approvazione dell’emendamento porterebbe con sé. In termini di aziende chiuse e persone che perderebbero il lavoro
Per quanto riguarda il danno economico, l’associazione di settore con la quale collaboriamo (Canapa Sativa Italia) sta stilando nel dettaglio il danno (duplice voce: danno emergente e lucro cessante) che incide le diverse regioni italiane nelle quali operano le aziende di settore.
Cosa potrebbero fare le aziende di cannabis light “per difendersi” nel caso l’emendamento passasse? Potrebbero appellarsi a qualche organo di stato o, ancora, richiamare l’attenzione direttamente a livello europeo?
Il nostro studio legale sta elaborando una specifica questione di legittimità costituzionale per impugnare immediatamente la normativa violativa dei fondamentali principi della libertà di iniziativa economica e dell’eguaglianza dinanzi la legge.
Uno dei temi centrali attiene al profilo della prevedibilità: una persona sottoposta a procedimento penale, prima di compiere un fatto ritenuto penalmente rilevante, deve poter sapere, se necessario attraverso l’interpretazione datane dai giudici ed eventualmente dopo aver ricevuto una adeguata consulenza, quali atti e omissioni lo rendano penalmente responsabile.
Nel caso concreto, la normativa della Unione Europea (e di tutti gli altri Stati membri) non vieta la produzione agricola della canapa industriale, di talché l’imprenditore italiano – qualora il disegno di legge sarà approvato – sarebbe limitato nel libero scambio di beni anche in violazione di numerose disposizioni normative comunitarie.
Infine, qual è la situazione al momento? Ci sono degli aggiornamenti?
Sappiamo che il disegno di legge è in corso di analisi, confidiamo vivamente che le opposizioni vogliano e sappiano contrapporsi a questa “follia normativa”.