Sesso e carcere
Uno degli aspetti della detenzione su cui tendiamo a stendere un velo pietoso fatto di luoghi comuni riguarda la sfera sessuale. E risaputo che nell’immaginario collettivo andare in galera significa, tra l’altro, correre il pericolo di avere esperienze omosessuali anche contro la propria volontà.
“Il detenuto si trova privato di braccia, di gambe, di voce, di decisionalità autonoma. Tutto l’universo carcerario è articolato per protesi: dallo scrivano al lavorante sono tutte protesi del corpo detenuto, che ha bisogno dell’istituzione, delle sue varie figure, per mangiare, spedire un lettera, mandare un piatto all’amico (….) E’ come trovarsi all’improvviso in carrozzella o in un busto di gesso” (Gallo-Ruggiero). Questa mutilazione virtuale non elimina però le pulsioni sessuali che, seppur mortificate dall’ambiente, non scompaiono.
In molti paesi d’Europa e del mondo in generale è possibile anche più volte al mese, avere a disposizione spazi dove incontrarsi con persone dell’altro sesso. In Italia no! E sotto certi aspetti questo mi ricorda le punizioni corporali dell’inquisizione, che come ben sappiamo erano correlate spesso ad aspetti sessuali della natura umana.
Vorrei intanto sfatare il crudele luogo comune che trasforma in “froci forzati” i prigionieri, perché oltre ad essere falso, trovo che sia crudelmente offensivo sia nei confronti di chi prova attrazione per il proprio sesso, sia nei confronti di chi questa attrazione non l’ha mai provata.
Proviamo ad immaginare gli effetti che questa astinenza forzata ha sulla formazione della sfera sessuale di una persona giovane e sana a cui viene impedito di coltivare i propri istinti.
Molti finiscono con l’ammazzarsi di seghe fino a raggiungere uno stadio in cui si illudono di bastare a se stessi. Non riesco ad immaginare una forma di solitudine più terrificante!
Vi sono carceri dove è vietata la circolazione di materiale pornografico, con l’effetto di alimentare, come per tutte le forme di proibizionismo, un mercato clandestino. Ma vi è anche un altro aspetto che spesso non viene preso in considerazione; quello dei compagni e delle compagne dei detenuti, che pur non avendo commesso nessun altro reato che non sia quello di amare un prigioniero, si vedono negata la possibilità di avere rapporti con esso. Questo porta inevitabilmente, soprattutto nel caso di condanne lunghe alla disgregazione delle famiglie, lasciando il carcerato ancora più solo.
Non si dice mai che la persona reclusa è, anzitutto un castrato sessuale o, se si preferisce, un sub-castrato dato che nessuno lo evira fisicamente.
Bruno Bettelheim ha affermato: “quando il controllo esterno, in una forma o nell’altra, raggiunge finalmente l’intimità dei rapporti sessuali, come avvenne nello Stato di massa di Hitler, all’individuo non viene lasciato quasi nulla di personale, di diverso, di unico. Quando la vita sessuale dell’uomo è regolata da controlli esterni, come il suo lavoro o il suo modo di divertirsi, egli ha definitivamente e completamente perduto ogni identità personale; il poco di identità che gli rimane può solo risiedere nel suo atteggiamento interiore verso una tale evirazione”.