“Senza la cannabis rischio la vita”: le parole di Walter dopo il sequestro
Walter risponde al telefono con un filo di voce, ma alla fine della telefonata è lui a farmi coraggio, a dirmi che si può stare bene anche nelle sue condizioni, a patto di avere la cannabis necessaria ad alleviare i dolori e rendergli la vita dignitosa.
Oggi Walter la cannabis che gli serve non ce l’ha più. E’ stata sequestrata dai carabinieri durante un blitz in cui è stato arrestato un amico che si recava lì per bagnargli le piante, operazione che lui da solo non riesce a svolgere, essendo in carrozzina da ormai diversi anni. Un blitz nato probabilmente dalla delazione di un vicino, davanti alla quale i militari non hanno potuto far altro che intervenire. “Trovati 20 chili di cannabis”, avevano titolato dei giornali locali, ma in realtà quello è il peso delle piante intere che gli sono state trovate, non delle infiorescenze.
Cannabis che in Toscana gli viene regolarmente prescritta, ma in un quantitativo insufficiente per poter stare bene. “Sono 10 anni che chiedo di aumentarmi la prescrizione, che è di 1 grammo al giorno, senza che nessuno mi ascolti. In Italia ti spingono all’autoproduzione, perché il sistema così com’è non funziona”.
Intanto la situazione si fa critica: “Dormo di meno, mangio di meno è ho molto più dolore. Quando ho la cannabis necessaria, la fumo se i dolori sono troppo forti, e me li toglie dopo qualche tiro”. Se dovesse continuare così, arriverà il punto in cui non riuscirà nemmeno a deglutire il cibo. “Ho una compressione midollare ben oltre 2 centimetri e oggi faccio anche fatica a tenere alto lo sguardo. Mi è fuoriuscito il dente dell’epistrofeo, che è l’osso che fa girare la testa, ed è questo che mi causa questo dolore indicibile. Rischio di essere intubato”.
Grazie alle medicine, a una corretta dieta e alla cannabis: “Ero riuscito a trovare un equilibrio, senza maledire la malattia. Perché il corpo è mio ed è la cosa più bella che ho, voglio esserne fiero stando con me stesso, mio padre e gli animali, che sono le cose che mi tengono in vita. Perché se no, cosa vivo a fare? Voglio mantenere la mia dignità. Molti mi chiedono come faccio. Secondo me ce la possiamo fare tutti, se troviamo la forza in noi, bisogna andare avanti, possibilmente sorridendo. Resistere, senza mai aggredire, in maniera pacifica”.
“Però”, continua a spiegare, “non accetto di vedere la mia vita calpestata, e, quando sarà così e sarò costretto ad andare in un istituto, intubato, sceglierò di andare in Svizzera: non torno e rimango sereno. Una scelta che mio padre, a 81 anni, farebbe fatica ad accettare ma credo mi abbia visto soffrire abbastanza in 30 anni e passa di calvario e 27 operazioni”.
Se dovesse arrivare con l’acqua alla gola, Walter si dice pronto a fare lo sciopero del cortisone, che lo porterebbe alla morte in pochi giorni. “Per ora sento il dovere morale di non farlo”.
Una situazione ancora più insostenibile, se si pensa che Walter, prima di scoprire di essere affetto da una forma estremamente aggressiva di artrite reumatoide, patologia che lo tormenta da 30 anni, praticava judo e rugby ed era volontario della Croce rossa.
Intanto è partita la mobilitazione. Prima l’appello dell’ex consigliere regionale Enzo Brogi e poi la solidarietà espressa da Adriano Sofri e dal giornalista Andrea Scanzi. E poi la creazione di un gruppo su Facebook a suo sostegno.
L’appello di Walter invece è direttamente per il ministro della Salute Roberto Speranza: “Caro ministro, mi auguro che il pregiudizio nei confronti di un fiore, non vada a ricadere sulle persone che lo usano per curarsi in maniera riconosciuta. Sono anni che chiedo un aumento di dosaggio, e ora mi sono anche stufato. Il dolore non può aspettare e non è giusto ricordarsi dei malati solo quando c’è la campagna elettorale. Avevo trovato una sostanza che mi placava il dolore, mi dava sollievo, mi permetteva di dormire e mi aiutava a mangiare”. Un appello anche per le barriere architettoniche per chi, come lui, si muove in carrozzina. “Non ci sono gli scivoli, e nessuno si rende conto di quanto possa essere umiliante dover andare in un posto e avere bisogno di essere preso in braccio e portato su”.