Interviste

“Semitoni. Non è un intervallo”. La crisi della musica indipendente italiana raccontata in un docufilm

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Grazie all’unione di due registi, Michele Ricchetti e Shapoor Ebrahimi, a breve sarà possibile vedere il nuovo documentario sulla musica indipendente “Semitoni. Non è un intervallo”. Un progetto coraggioso in questo periodo musicale e culturale che sottolinea il cambiamento del settore musicale negli ultimi anni.

Siete due videomaker di scuola Bolognese, qual è il vostro background e come vi siete incontrati?
La nostra formazione è di tanti tipi e luoghi diversi sia per quanto riguarda aspetti tecnici che teorici. Ci siamo conosciuti nel 2006 a Bologna, sul set di un cortometraggio.

Entrambi non siete prettamente addetti al settore musicale ma bensì degli appassionati. Cosa vi ha spinto a girare un documentario proprio su questo tema?
I soggetti ritratti dal documentario sono meravigliosamente liberi rispetto ad una società, per molti versi, asfissiante. Far raccontare alle band le loro esperienze è sembrato un modo per disegnare, idealmente, un affresco diverso dalle realtà che molti media mostrano.

Nel documentario compaiono 3 band underground che parlano della loro esperienza e dei propri punti di vista sulla produzione musicale indipendente italiana. In base a quale criterio avete scelto le 3 band?
Differenti fattori. Abbiamo scelto la Fuzz Orchestra, His Clancyness e gli Eels On Heels perché volevamo tre band differenti, non solo a livello stilistico ma anche per luogo di provenienza e tessuto sociale d’appartenenza. Tre città italiane appunto differenti per posizione geografica, numero di abitanti e sistema socio-culturale.
Un altro criterio è stato quello di interagire con band che hanno fatto esperienze all’estero e che non si sono fossilizzate nel sistema italiano, questo per poterli far esprimere sulla diversità che c’è tra il nostro paese ed altre realtà.
In più, ci sembrava un errore proporre il documentario a band che conoscevamo personalmente perché in questo modo avremmo avuto un approccio meno di scoperta, meno libero, forse con dei preconcetti in più. Uno degli obiettivi del documentario è che il pubblico possa fare una scoperta non solo artistica ma anche personale dei protagonisti di “Semitoni” proprio per far emergere le difficoltà attraverso un processo d’identificazione e non come una mera visione passiva di un dato di fatto.

Il sottotitolo del documentario “Non è un intervallo” è abbastanza intimidatorio. Sta ad intendere che il panorama della musica è cambiato e non è solo una fase di passaggio?
Non è intimidatorio, come potrebbero esserlo dei “Banditi a Milano”(non riuscivamo a trattenere la citazione del film di Carlo Lizzani, l’associazione è venuta spontanea) ma è un gioco di parole tra il termine semitoni, che è il più piccolo intervallo musicale tra due suoni, e il nuovo significato che abbiamo attribuito alla parola in virtù del documentario. 
”Non è un intervallo” per tante ragioni. Una motivazione tra le tante è che non si riesce tuttora ad archiviare un lungo periodo in cui la cultura è stata messa da parte dalle grandi istituzioni di questo paese o peggio ancora è stata oggetto di censura occulta o manifesta.

Uno dei temi principali è quello della libertà d’espressione, come vedete la situazione in Italia nei vari ambiti, non solo musicali? In che modo secondo voi è possibile mantenere ancora la propria libertà di espressione?
Più che libertà d’espressione, diremmo libertà artistica. C’è minore visibilità per determinati stilemi artistici. Riguardo alla libertà d’espressione dovrebbe essere costituzionale, articolo 21, quindi è lo stato che dovrebbe tutelarla con tutti i suoi organismi preposti, non bisogna mantenerla attiva ma esigerla e farla rispettare!

Nel trailer c’è una parte in cui si afferma che la cultura purtroppo in Italia è vista come un aspetto di secondo piano che difficilmente si punta a sviluppare. Condividete anche voi quest’affermazione?
Nel trailer è presente solo un estratto di un pensiero più ampio ma comunque la risposta è assolutamente sì, è uno dei concetti chiave su cui si basa il documentario. Sempre nel trailer, abbiamo inserito il brano “Sangue” della Fuzz Orchestra in cui c’è il sonoro del film “Giordano Bruno” di Giuliano Montaldo, nel finale del brano c’è questa frase che dovrebbe far riflettere: “Che mortificazione! Chiedere a chi ha il potere di riformare il potere”.

Qual è secondo voi una delle cose più importanti che emerge in Semitoni e che ci tenete a sottolineare?
Secondo noi e speriamo anche per il pubblico, è l’aspetto genuino e umano che le band mostrano, umano nell’accezione più nobile del termine. Oggigiorno, a volte, si fa fatica ad esserlo.

Qual è la situazione attuale della produzione musicale indipendente italiana e della musica underground più in generale?
Molto attiva, sono le stesse band ad affermarlo nel documentario. Mancano, secondo noi, le istituzioni sia pubbliche che private e quando ci sono, non facilitano ma piuttosto creano difficoltà e in alcuni casi addirittura censurano un certo fare artistico che invece è il tesoro nascosto del nostro paese.

Come credete che si evolverà la situazione, in particolare in Italia?
Niente sfere di cristallo, realismo e voglia di fare ci sembrano una buona risposta e prospettiva.

Quando saranno le prime proiezioni e dove?
Speriamo di poter annunciare l’uscita del documentario entro poche settimane.

Lasciate un messaggio ai lettori…
Salutiamo “Dolce Vita” e i suoi lettori. A presto

 



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