Semi di cannabis poliploide. La più grande innovazione dei prossimi anni?
Quante varietà di cannabis esistono sul mercato? Attualmente il database di seedfinder.eu ne conta oltre 16mila e il numero è destinato a salire: il rinnovato interesse per la cannabis sta spingendo le aziende produttrici di semi a produrre varietà esclusive, magari con una fioritura molto corta ma un’alta resa in THC, o con particolari profili terpenici o con un’alta produzione di cannabinoidi minori.
A tal proposito è interessante capire come sarà il futuro delle genetiche di cannabis da qui a qualche anno. Gli scenari risultano molti, ma una tecnica in particolare potrebbe davvero rivoluzionare il panorama delle genetiche: la poliploidizzazione. Si tratta di una tecnica brevettata dalla natura e che i ricercatori stanno utilizzando e studiando da poco più di mezzo secolo che per essere compresa ha bisogno di un ripasso veloce di genetica.
Batteri, funghi, animali (tra cui l’uomo) e vegetali sono accomunati da un fattore fondamentale, per così dire vitale: il DNA, una doppia elica microscopica che contiene molte informazioni, in pratica una specie di ricettario delle cellule degli esseri viventi in cui sono scritte le informazioni con cui le cellule si dividono e si organizzano per formare i tessuti e gli organi che compongono il corpo, sia questo legnoso come quello di una quercia o spugnoso come quello di un fungo o fatto di muscoli come nel caso degli animali. Inoltre il DNA assolve alle funzioni fisiologiche che servono a far funzionare il corpo che ha originato. Nel nostro corpo abbiamo circa 3 720 000 000 000 000 000 metri di DNA – il numero degli zeri riportati è corretto -, circa 25 miliardi di volte la circonferenza del pianeta Terra. Per risolvere il problema dello spazio, il DNA pensato bene di risolvere tale problematica “super-avvolgendosi” e formando strutture denominate cromosomi, contenuti nel nucleo di ogni singola cellula. I cromosomi sono generalmente portati in coppie; l’essere umano ne ha 26, salvo rare eccezioni che portano a conseguenze spiacevoli come malattie genetiche o non formazione dell’embrione durante la riproduzione sessuata.
Tuttavia i vegetali sembrano tollerare bene eventuali mutazioni genetiche e molti alimenti che consumiamo ne sono un esempio, in primis il grano. Il progenitore del grano attuale apparteneva alla specie selvatica che aveva un corredo genetico diploide (cioè con due copie per ogni cromosoma nel DNA), mentre il grano attualmente coltivato come il grano duro presenta un corredo tetraploide (4 copie per cromosoma) diversamente dal grano tenero che ha 6 copie per cromosoma (corredo genetico esaploide).
L’aumento dei cromosomi in tali specie fu dovuto agli incroci con altre piante appartenenti alla famiglia delle graminacee che, per una serie di casi molto rari, generarono individui poliploidi. Il numero superiore di cromosomi rispetto al progenitore ha portato grossi vantaggi a queste nuove specie, come ad esempio un incremento della qualità di farina ricavabile dalle cariossidi (chicchi di grano) e una maggiore attitudine alla lavorabilità per ottenere prodotti derivati dalla panificazione. Il grano non è l’unico esempio, diverse altre piante come il pomodoro o la fragola presentano individui poliploidi, i quali sono stati selezionati per ottenere frutti più grandi e saporiti.
Solo recentemente per la canapa si sta pensando di utilizzare le tecniche di poliploidizzazione per avere piante che producano infiorescenze a più alto contenuto di metaboliti terapeutici. Nel 2017 è stato realizzato uno studio dall’università di Kerman, in Iran, che ha messo in evidenza dei discreti risultati preliminari. In tale esperimento una pianta di canapa diploide fu trattata con una sostanza denominata colchicina, la quale induce nelle cellule la poliploidizzazione. A seguito del trattamento furono ottenute delle piante tetraploidi che presentavano discrete variazioni morfologiche. Ad esempio le piante tetraploidi presentavano stomi (aperture sulle foglie che consentono l’assorbimento dell’anidride carbonica e il rilascio di ossigeno) grandi circa il triplo rispetto alle piante diploidi. Inoltre l’area delle foglie e il peso delle radici risultava leggermente superiore nelle piante tetraploidi rispetto a quelle diploidi, mentre nelle piante diplodi risultava superiore la quantità di tricomi e l’altezza della pianta.
Un secondo esperimento condotto nel 2019 in Canada dalla Dottoressa Jessica L. Pasons e il suo gruppo ha messo in evidenza risultati abbastanza simili. In questo caso per innescare la poliploidizzazione fu utilizzato l’Oryzalin, un erbicida che in determinate dosi induce la poliploidia. I risultati in questo caso mostravano un’altezza della pianta e delle foglie abbastanza simili, mentre risultava più rilevante la densità dei tricomi per mm2: nelle piante tetraploidi risultava superiore di un 40% (4.5 tricomi per mm2) rispetto a quelle diploidi (3.15 tricomi per mm2). A livello di velocità di maturazione dei tricomi e di peso delle infiorescenze non furono notate grosse differenze tra le due varietà. Lo studio mise in evidenza il quantitativo di cannabinoidi e terpeni presenti nella pianta. In particolare si notò che nelle infiorescenze tetraploidi era presente un quantitativo di CBD di 70mg/g, mentre nelle infiorescenze diploidi 64mg/g. Anche il numero dei terpeni totali risultava essere superiore nelle varietà tetraploidi: circa 12 mg/g contro i 9mg/g delle varietà diploidi. Nel caso delle varietà tetraploidi si notò che la quantità dei singoli terpeni variava molto da campione a campione, pur mantenendo costante la quantità di terpeni totali tra i campioni analizzati.
Alla luce di questi due studi preliminari c’è da dire che la strada per ottenere piante poliploidi performanti da un punto di vista delle produzioni di metaboliti terapeutici è ancora molto lunga. Gli studi preliminari hanno dimostrato, per ora, che le differenze morfologiche tra diploide e tetraploide, varia in base alla varietà diploide di partenza. Un piccolo incoraggiamento deriva dal leggero aumento di tricomi e dal leggero aumento di terpeni e CBD nelle varietà tetraplodi. Grazie a questi piccoli risultati nei prossimi anni si evolverà la selezione e lo sviluppo di tali varietà e magari tra qualche anno potremmo cominciare a vedere in commercio le prime piante poliploidi; bisognerà trovare le giuste varietà che permetteranno di ottenere migliori risultati. Per ora le varietà in commercio non deludono le aspettative né dei consumatori né dei coltivatori; magari la poliploidizzazione per la canapa non sarà poi necessaria, ma i pochi risultati ottenuti fanno ben sperare sulle grandi potenzialità di tale tecnica.