ScHoolboy Q – "Oxymoron" (Recensione)
La figura artistica del rapper si è riprodotta (e continua a riprodursi) ad una velocità impressionante nel corso degli ultimi dieci anni. L’ascoltatore medio, poco esperto e poco in grado di scremare si ritrova bombardato (calcolando così, ad occhio) da circa 2 – 3 nuovi rappers a settimana, che fanno circa 100 all’anno. Scherzi e stupide stime (o forse no?) a parte, ora che ho reso l’idea posso arrivare al punto del discorso, ossia: in questo oceano di novità incalzante, cosa e come fare per emergere dalla folla?
Schoolboy Q ha deciso di presentarsi sulla copertina del suo nuovo disco, Oxymoron, con un cappello alla pescatora (ormai inseparabile amico) e un passamontagna bianco. Esatto, bianco. Lui è nero e trovatemi un modo migliore per esprimere un ossimoro. Geniale. Già dalla cover Schoolboy cattura l’attenzione e ha già risolto il punto cruciale del nostro quesito iniziale – senza però fermarsi qui, dato che quello che conta è sempre la musica, non la copertina del disco. Q non è un novellino e arriva da due dischi un po’ controversi come “Habits and Contradictions” e “Nightmare on Figg St”. Controversi perché hanno mostrato le sue potenzialità senza però confermarle completamente. Beh, Oxymoron è la conquista definitiva di quella qualità matura che è mancata in passato. L’attesa negli states per questo disco è stata quasi febbrile, dato che Q si è trovato i grandi fari dell’Hip Hop puntati addosso protetto però alle spalle (cosa che forse ha permesso il grande salto) da una major come Interscope. L’attesa non ha deluso le aspettative, tanto che qualcuno ha pure osato il paragone con “GKMC” di Kendrick Lamar. Piano, per piacere. Procediamo con calma.
“My uncle stole my cereals”
“Gangsta” apre il sipario di Oxymoron: roba per pochi, ma che mostra senza mezzi termini la versatilità del rap di Schoolboy: veloce, melodico, rallentato, poi via di nuovo non più nello stesso ordine. Pezzi come “Hoover Street” e “What they Want” sono però ancora meglio: quante canzoni ci saranno che parlano di guadagni e di cataste di dollari impilati uno sopra l’altro? Quante di uno zio demoniaco che vi ruba i cereali? Le ombre di un passato difficile fioriscono spesso e volentieri nelle strofe di Q, disegnando tratti quasi surreali. Il contenuto personale è sempre stato presente anche nei lavori precedenti di Schoolboy, ma sono proprio i brani più radio-friendly che permettono ad “Oxymoron” di salire di livello: “Collard Greens” (che bomba con Kendrick Lamar AKA garanzia), “Break the Bank” e “Man of the Year” si collocano proprio a metà tra il concept più street e quello del party lover. Dal lato delle collaborazioni spiccano sicuramente il beat di “Los Awesome” prodotto da un Pharrell tornato al sound dei Neptune, l’ottima strofa di Raekwon in “Blind Threats” così come il ritornello inquietante partorito da Tyler, the Creator in “The Purge”.
Ora che il quadro è più completo, possiamo rispondere anche al secondo quesito. Schoolboy Q e Kendrick Lamar son quasi fratelli: provengono entrambi dalla cantera della TDE, firmano e debuttano entrambi con la Interscope e collaborano assieme ad Ab-Soul e Jay Rock nel super gruppo “Black Hippy. E’ giusto, quindi, paragonare “Oxymoron” a “Good Kid m.a.a.d City”? NO. Perché? Perché “Oxymoron” non ha la complessità e la portata che hanno reso GKMC così potente. La sensazione comune ascoltando anche per la prima volta GKMC è che sia un disco che presenta già i contorni di quello che tra una decina di anni sarà ancora attuale e sarà etichettato come classic. “Oxymoron” resta un disco di notevole fattura, maturo e perfettamente strutturato. Il disco di un mad kid in a mad city che rappa lunatico e tenebroso ma che, nonostante la tanta qualità, non riesce a pareggiare le metriche pazze e intelligenti di Kendrick. “Oxymoron” alterna continuamente buio e luce, cosa che forse si presta perfettamente al concept generale, ma tra qualche anno non saremo qui a citarlo nella categoria dei classici. Pregevole, ma non rivoluzionario.
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Mattia Polimeni