Salmo – Death USB (recensione)
Non è facile ripetersi, quando al primo disco hai messo d’accordo tutti e sei stato bollato come personaggio dell’anno. E’ancora più difficile, diciamoci la verità, se il tuo stile è classificabile come “nuovo”, perché rischi di sembrare ripetitivo e di stancare. Peggio ancora, è difficile se diventi l’idolo di tutti, specialmente nell’hip hop, in Italia, dove quando scopri che la sorellina del tuo amico ascolta il rapper che prima ascoltavate soltanto tu e un tuo amico di chat spesso inizi a prendere le distanze, come se avessero rivelato a tutti un tuo intimo segreto.
Si parla di Salmo, in questo caso e se ne parla da oltre un anno; Salmo ha unito tutti, ha portato quel carisma che ci mancava da qualche annetto, contribuendo assieme ad altri, per fortuna, a riportare l’attenzione su qualcosa della quale piano piano ci si stava iniziando a scordare. Ha presentato all’Italia quella violenza che ogni tanto è bene che ritorni, quell’impeto del primo Noyz Narcos, dei primi Club Dogo (e non vado ulteriormente a ritroso), quella personalità che riconosci subito, condita a delle rime fighissime, su basi hardcore e una maschera da teschio.
Dopo il fenomenale esordio di “The Island Chainsaw Massacre” (chi non l’ha ascoltato?), condito da badilate di visualizzazioni Youtube (si parla di visualizzazioni reali, non fake) di video potentissimi, aspettavamo tutti quanti l’esordio in Tantaroba con trepidante attesa e, anticipato da “Machete Mixtape”, ecco qui “Death Usb”.
Prima considerazione, un po’ amara per quanto mi riguarda: il secondo disco di Salmo appare per forza di cosa più artefatto e meno curato, ma me l’aspettavo. E’ molto potente, i beat sono quelli che lo hanno reso celebre, conditi di drum n bass e schitarrate per risaltarne le doti. Manca sicuramente molto l’originalità di pezzi come “Yoko Ono” e “Un Dio Personale”, che davano al rapper sardo quella vena che riusciva a mettere d’accordo i rapper esaltati dalla violenza della sua musica a quelli più esaltati dalle liriche. La verità, però, è che se vi piace Salmo, “Death Usb” rimarrà nel vostro autoradio spacchiuso come pochi altri dischi hanno saputo fare; poi dipende sempre da quello che si cerca, ovviamente.
Lo diceva anche Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un’artista, anche se io in realtà rimango dell’idea che l’hype, in questo caso, era talmente grosso che era davvero molto difficile toppare. Salmo infatti non ha toppato, Tantaroba non ha toppato, producendo un disco breve e rapido (mi piace questa moda, basta coi dischi lunghi) e portandosi in roster l’MC con il potenziale più grosso, ottenendo di fatti grossissimi risultati. Salmo si è circondato dei più potenti, in questo caso Ensi e un bellissimo Primo Brown, tutto questo mentre En?gma fa passi da gigante e sforna mega-strofe a ripetizione. E’diventato un riferimento del genere, si è beccato i complimenti da Marra a Jovanotti ed è bellissimo vedere come a mettere d’accordo tutti sia stato un personaggio così distante dai canoni e dalle pippe mentali che hanno sempre caratterizzato l’hip hop italiano. Così com’è bellissimo che in cima alle classifiche degli acquisti in digitale ci sia stato per molto tempo proprio lui, un artista indipendente, uscito con Tantaroba Records. Che sia il segnale definitivo che tutto il movimento è in crescita? Sapete che c’è? Ma chi se ne frega, w la musica hardcore, questo è hip hop.
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Robert Pagano