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Rototom Sunsplash: il festival che dimostra che un altro mondo è possibile (ma non in Italia)

Storia di un festival di straordinario successo nato in Italia e emigrato in Spagna per fuggire alle politiche oscurantiste che (ancora) governano questo Paese

Pubblico Rototom Sunsplash

C’è una legge Italia fatta apposta per premiare chi, dopo essere emigrato all’estero in cerca di opportunità, decide di rientrare. Si tratta del decreto legge 34 del 2019, detto anche “Rientro dei cervelli”, e prevede delle agevolazioni fiscali per coloro che, dopo aver fatto esperienza fuori dai confini, riportano in patria il proprio sapere e lo mettono a disposizione del Paese che li ha messi nelle condizioni di andar via. Potrebbe sembrare contorto e in effetti lo è: tutt’oggi lo Stato non ha un piano – cioè sostegno, cioè lavoro, cioè opportunità – affinché tu possa realizzarti e produrre ricchezza, cultura e innovazione in Italia, ma poi, se decidi di rientrare, allora ti riconosce un valore e ti aiuta.

Nel decennio 2012-2021 è espatriato dall’Italia oltre 1 milione di residenti, un esodo che, stando agli analisti, sarebbe costato al Paese oltre l’1% del Pil, per capirci. Uno spreco enorme.

Spesso i messaggi che uniscono le persone e dimostrano che un altro mondo è possibile fanno paura È a questo che penso mentre scorro la line-up della ventottesima edizione del Rototom Sunsplash, uno dei festival reggae più amato a livello internazionale, un evento di straordinario successo che nel 2009 ha lasciato l’Italia per trasferirsi stabilmente in Spagna, a Benicàssim, una cittadina sulla costa a un’ottantina di chilometri a nord di Valencia.

Alla nuova edizione, che si terrà dal 16 al 22 agosto, sono attese oltre 200mila persone, un popolo festoso che ancora una volta non ospiteremo. Un ritorno economico, stimato in 20 milioni di euro all’anno, di cui beneficia la comunità spagnola, non l’Italia.

Da Wikipedia: «Durante un’affollatissima conferenza stampa che ha luogo a Udine il 2 novembre del 2009, si annuncia ufficialmente che il festival lascerà il Friuli Venezia Giulia. Il portavoce dell’Associazione Culturale Rototom spiega la necessità del trasferimento, non come una libera scelta ma come una conseguenza de una “campagna di abuso e demolizione” contro il festival, con “misure che rendono impossibile rimanere a Osoppo”, come l’apertura di un’investigazione per la supposta violazione della Legge Fini Giovanardi, il cui articolo 79 puniva “chi usa o permette di utilizzare un club pubblico o privato di qualsiasi tipo come luogo di riunione per le persone che lo utilizzano per consumare sostanze narcotiche o psicoattive”. Le pene per tale fatto andavano da tre a dieci anni di carcere e una multa tra 3mila e 10mila euro. Questa legge fu dichiarata incostituzionale il 12 febbraio del 2014 per non distinguere tra droghe “leggere” e “pesanti” e contribuire alla saturazione delle prigioni italiane con condanne per l’uso di cannabis.»

Ecco come lo abbiamo perso, ma come è iniziato tutto?

«Per parafrasare un grande scrittore uruguaiano, Eduardo Galeano, è nato tutto da un piccolo gruppo di amici, che in un piccolo paese del Nord Italia, creò una piccola associazione, l’Associazione Culturale Rototom, con un sogno nel cassetto: creare una città della musica e cambiare il contesto culturale repressivo che vigeva allora nel Friuli-Venezia Giulia». Ce lo racconta Filippo Giunta, tra i fondatori del Rototom e attuale direttore artistico, uno dei cervelli in fuga che l’Italia ha sulla coscienza e che siamo tornati a intervistare sulle pagine di Dolce Vita.

Nel 1991, a Gaio di Spilimbergo (Pordenone), un manipolo di sognatori aprì una discoteca, che presto si convertì in un autentico laboratorio sonoro dove si poteva ascoltare, suonare e ballare mille generi diversi: punk, rock, hip hop, indie, elettronica e, chiaramente, reggae. «La musica giamaicana, in particolare, era quella che ci coinvolgeva maggiormente, per le sue sonorità esotiche e il suo forte messaggio di pace e tolleranza», ricorda Giunta.

Fu così che quei ragazzi pieni di energie e passione decisero, nell’estate del 1994, di organizzare il 1° Raduno Nazionale del Reggae, il Rototom Sunsplash, nel giardino della discoteca. Giunsero mille persone, tra musicisti, produttori e appassionati del genere. Fu una piccola festa, nella quale alla musica cominciavano già a mescolarsi altre attività culturali. L’anno dopo organizzarono la seconda edizione e il pubblico triplicò. Il resto è storia che ci piace ripercorrere con uno dei suoi fautori principali.

Filippo Giunta
Filippo Giunta

Filippo, che ricordi hai delle edizioni in Italia?

I ricordi sono tanti e si mescolano gli uni con gli altri. Siamo rimasti in Italia fino al 2009. Sono stati anni di sfide, nei quali al crescere continuo della manifestazione e dell’affetto della nostra comunità si affiancava un altrettanto crescente ostilità delle istituzioni. Credo che i ricordi più belli siano legati alle mille avventure che questo gruppo di amici ha vissuto, la sua capacità di rimanere unito nei momenti più difficili e il grande entusiasmo con cui abbiamo saputo costruire il nostro sogno. Un sogno che si è evoluto nel corso degli anni, crescendo sia in termini di numeri sia in termini di contenuti. Da Gaio di Spilimbergo ci siamo spostati a Zoppola (Pordenone), Lignano e, infine, Osoppo (Udine). Dalle 1000 presenze della prima edizione siamo arrivati alle 150mila. 

Quale credi sia stata la chiave di questo successo?

Credere in sé stessi e stimolare chiunque abbia una nuova idea a metterla in pratica. Per questo alla musica si sono via via aggiunte nuove attività: il mercatino, i dibattiti, spettacoli di danza, sessioni di yoga e giochi per i più piccoli. Tuttavia, il sogno del Rototom andava contro l’interesse di molti, soprattutto a livello politico. Spesso, i messaggi che uniscono le persone e dimostrano che un altro mondo è possibile fanno paura. Così è stato in Italia e i ricordi su questo aspetto non possono che essere negativi. 

Perché a un certo punto il festival ha trovato casa in Spagna?

Perché non era più possibile organizzare un evento simile in Italia. Il governo di destra che vigeva all’epoca, la sua politica di chiusura delle frontiere e il discorso nazionalista di Alleanza Nazionale e della Lega Nord non erano compatibili con le nostre attività. Iniziò una persecuzione politica e giudiziaria, culminata con l’approvazione della legge Fini-Giovanardi, che prevedeva fino a dieci anni di carcere per chi tollerava l’uso di droghe leggere come la cannabis all’interno di spazi culturali. La legge, che aveva criminalizzato il nostro evento, fu poi dichiarata incostituzionale nel 2014 e, nel 2015, l’intera organizzazione del Rototom fu assolta.

Nel frattempo ci eravamo già trasferiti. Nel 2010, dopo aver percorso per mesi migliaia di chilometri senza risultato, trovammo in Benicàssim, a poco più di un’ora di macchina da Valencia, la nostra nuova casa. Fu un momento di grande gioia, ma pure di grande difficoltà. Dovemmo imparare una nuova lingua, informarci su nuove regole amministrative e burocratiche, cercare di coinvolgere il più possibile la comunità spagnola nella quale eravamo entrati e, soprattutto organizzare la programmazione delle attività e promuoverla in un lasso di tempo brevissimo. Per fortuna, riuscimmo a vincere anche questa sfida e, da quel momento, la vita del Rototom è completamente cambiata, in meglio.

Una volta hai dichiarato: «In Italia bisogna lavorare molto per recuperare lo spirito di unità – abbiamo peace, love e unity, a cui però non si dà la stessa importanza, e invece sono tutte e tre allo stesso livello, senza unity non andiamo da nessuna parte. Perché quando uno dei tanti della famiglia riesce a ottenere un successo bisognerebbe essere tutti contenti e non invidiosi. Perché dopo di lui magari tocca a me e indifferentemente di quando toccherà anche a me l’importante è crescere». Sarebbe possibile oggi un evento del genere in Italia?

Difficile rispondere a questa domanda. Manchiamo dall’Italia da troppo tempo per poter dare un giudizio. Senza dubbio il contesto sociale e politico, osservandolo dall’esterno, pare essere ancora più ostile di quando lasciammo il Paese. Ciononostante, sono dell’idea che tutto è possibile laddove ci sia entusiasmo, unità e fantasia. Immaginare un mondo diverso, fatto di uguaglianza, empatia e amicizia è il primo passo per poter cambiare le cose. La musica e la cultura ne sono il mezzo perfetto.



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