Rocco Hunt – Poeta urbano (recensione)
Lanciare il primo disco ufficiale e farlo con la firma di una major a soli 18 anni. Coi tempi che corrono, si potrebbe pensare al perfetto identikit di un giovanotto fuoriuscito da qualche nuovo talent show, con alcun tipo di background culturale prettamente hip hop. Uno di quei prodotti preconfezionati a tavolino, da gettare in pasto nel mare della musica vendibile, ma senza anima. Rocco Hunt è invece l’emblema del rap più viscerale, dell’amore per questa cultura e per il profondo rispetto per le sue radici: “Poeta Urbano” riassume a pieno i lati positivi dell’hip hop italiano, in un’era storica delicata come quella che viviamo.
Dallo spiraglio di periferia al bagliore urbano: Rocco amplia gli orizzonti e trasla il suo spirito da un approccio specifico, di strada, ad uno più complesso che contempli più sfumature. Ciò si rende evidente nel disimpegno del giovane salernitano sui ritornelli, forse l’aspetto che certifica la sua crescita artistica, seppure appaia come il lato meno strutturato ed ancora in progress della faccenda. Dodici tracce che pongono fortemente il suo nome sulla mappa della scena italiana: impressionante la maturità stilistica, quasi incredibile quella di pensiero ed esposizione. Rocco Hunt si è sentito responsabilizzato dall’hype che lo ha attorniato in questi mesi, che lo ha quasi assurto a coetaneo-guida di un ampio movimento di teenagers che inizia a conoscere ed apprezzare il rap: sia stilisticamente, saturando col suo flow serrato l’ampio ricorso al boom bap offertogli, sia trattando con un’inaspettata –per un 18enne- capacità di non macchiarsi di facili populismi, ancor più facile se riferita principalmente ad un uditorio acerbo.
La peculiarità di Poeta Urbano è, invece, quella di non sfigurare anche ad un ascolto adulto, magari più esigente. Certo, si tratta di un ragazzo appena maggiorenne, con il carico di esperienze e aspirazioni che si conviene per un’età del genere, ma di certo è uno che la vita l’ha mangiata a morsi, senza farsi mai sopraffare. Rocco Hunt si è fatto da solo, e tutto ciò si risente in Poeta Urbano, comunque riflesso anche della sua indole giovanile, in brani dal tiro più leggero (come Capocannonieri con Clementino, uno degli ospiti del disco, assieme a Ensi, Nazo, Zoa e Reverendo). Quello che doveva essere un disco a quattro mani con Fabio Musta ha poi racimolato lungo il percorso l’assoluto estro creativo di producer come Shablo e Fritz da Cat, un espediente che ha aggiunto variabili interessanti al classic taste del beatmaker salernitano. Qualche leggero passaggio a vuoto, come detto nei ritornelli e in conclusioni affrettate come ne L’occhio del massone, non mina affatto la credibilità e la riuscita, ribadiamo, di un esordio di un 18enne con una major. Rocco Hunt ha l’aura del predestinato, geneticamente portato per il rap: il futuro è tutto dalla sua.
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Nicola Pirozzi