Ritorno a scuola: disastro annunciato e il discorso di una preside coraggiosa
A sei mesi dalle ultime lezioni in presenza, oggi riaprono le scuole di gran parte d’Italia, tra ritardi, approssimazioni, cose che mancano e che ancora non tornano.
A partire dai numeri: per il governo sono 5,6 milioni gli studenti all’appello ma in realtà, basta tener conto degli istituti che hanno posticipato la ripartenza – solo nel Lazio il 30% – sono molti meno, almeno 700 mila.
I problemi come era immaginabile sono tanti, dai banchi monoposto per favorire il distanziamento fisico voluti dal Ministero dell’Istruzione e perlopiù non ancora consegnati, alle mascherine usa e getta per gli studenti, milioni di mascherine monouso previste ma non ancora disponibili (e che andranno in qualche modo smaltite). Per non parlare dei potenziali danni psicologici agli studenti (alcuni già comprovati durante i mesi di lockdown)…
Infatti, se a tutti è chiara la necessità di un ritorno a scuola, sono diverse le voci che dicono che mettere in pratica le linee guida e i protocolli decisi dal governo nelle scorse settimane è impensabile nonché controproducente.
Lo ha spiegato nel suo intervento alla Camera Solange Hutter, la preside del liceo Marini-Gioia di Amalfi, molto critica rispetto alla strategia del terrore perseguita finora dal governo e dai mezzi di informazione nonché sulle misure anti Covid prescritte, a suo parere inutili quando non direttamente pericolose per la tenuta dell’ordine pubblico negli edifici scolastici. “Immaginate uno scenario in cui i bambini e i ragazzi, già terrorizzati, troveranno in queste scuole-lager un rafforzamento delle loro paure e dei loro incubi” ha detto la preside. “Potrebbero avere reazioni inaspettate e anche pericolose o azzardate in caso di un possibile caso Covid nella scuola“.
Un’opinione che vale la pena di essere ascoltata perché espressa da un’addetta ai lavori che ogni giorno si confronta con una realtà che sconta anni di disinteresse da parte di chi oggi detta regole che potrebbero penalizzarla ulteriormente.
Comunque la si pensi, non c’è bisogno di un comitato tecnico per capire che queste linee guida e protocolli non fermeranno i contagi e che dovremo convivere con il virus e trovare una nuova normalità, una via di condotta che non si basi sulla paura ma sul buon senso e responsabilità verso gli altri e noi stessi. Facendo attenzione a non confondere il distanziamento fisico con quello sociale. Possibilmente senza dimenticare i danni collaterali che le strategie messe in atto per difenderci dal virus hanno già reso evidenti. Su tutti quelli a seguire rappresentano già un’emergenza.
Danni psicologici
È vero che i bambini e gli adolescenti sono stati direttamente meno colpiti di altri dal virus, dato che si sono ammalati molto meno e con sintomi molto meno gravi degli adulti, ma hanno subìto comunque gravi conseguenze negli ultimi mesi. Un’indagine condotta dall’ospedale Gaslini di Genova sull’impatto psicologico e comportamentale del lockdown ha registrato che l’isolamento a casa durante l’emergenza da Covid-19 ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18). Tra i disturbi più frequenti ci sono l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia, ad esempio quella da separazione. Non va dimenticato che i contatti sociali sono importanti non solo per il valore dell’amicizia, ma anche perché stando insieme ai coetanei i bambini imparano a collaborare, a fidarsi degli altri, a essere empatici, e sviluppano la propria personalità. Lo stesso risultato non si può ottenere attraverso le lezioni su Zoom.
Danni ambientali
I primi di settembre il comitato tecnico scientifico guidato da Domenico Arcuri ha deciso che lo Stato fornirà mascherine chirurgiche usa e getta a tutti gli studenti. Stiamo parlando di numeri pazzeschi. Di questa mole, da gettare nella spazzatura indifferenziata, solo una parte arriverà agli inceneritori, comunque non sufficienti, soprattutto al Sud. Ma anche se solo l’1% delle mascherine utilizzate in un mese venisse smaltito in maniera non corretta, si avrebbero 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Per mitigare il più possibile l’impatto ambientale dell’uso di questi dispositivi, Legambiente ha chiesto che venga predisposta una fornitura adeguata di mascherine riutilizzabili certificate equivalenti a quelle chirurgiche monouso per gli studenti, sollecitandoli e invogliandoli a utilizzare le lavabili per ridurre il quantitativo che circola nel Paese. Un appello che speriamo venga ascoltato.