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Riflessioni sulla coltivazione mentre continuano i sequestri

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La proliferazione di sequestri nei confronti di coltivatori (nella quasi totalità assuntori) ripropone la necessità di approfondire il concetto di coltivazione. La giurisprudenza di legittimità si sta purtroppo contraddicendo, arrogandosi in posizioni discutibili.

Il costante riferimento operato nei confronti della pronunzia della Corte Costituzione del 1995 (sente. n. 360) delle SSUU del 2008 (sent. n. 28605), così che vengono ribaditi elementi astratti – e superati nel tempo – che impedirebbero sia un’assimilazione comparativa con la condotta di detenzione, sia l’adozione di un criterio oggettivo che differenzi la attività di coltivazione propriamente detta (quella agrario/industriale) da quella più amatoriale e rudimentale (esemplificativamente domestica) è sintomo di una sopravvenuta assenza di argomenti accusatori, che preoccupa (V. da ultimo la recente sentenza della Terza Sezione Penale della Suprema Corte 7 luglio 2015).

È ormai paradossale la circostanza che chi acquisiti per uso personale – aumentando la dimensione e la prosperità del mercato illecito – possa nella maggioranza dei casi venire assolto a differenza di chi, invece, coltivando per sé e mantenendo una siffatta condotta nell’alveo strettamente privato, viene sovente sanzionato penalmente. Deriva, quindi, la necessità di ritornare a taluni punti fermi, recuperando posizioni ermeneutiche di assoluto pregio.

In primo luogo richiamo il contenuto della sentenza del GUP di Milano del 13 ottobre 2009, più volte oggetto di commento. Questa pronunzia a mio avviso contiene la sintesi della soluzione del problema e cioè la necessità che venga ricondotta al concetto di coltivazione solamente quella attività “tecnico-agraria” o imprenditoriale specificamente regolamentata nella parte del dpr 309/90 che governa il sistema delle autorizzazioni del ministero dell’Agricoltura, coinvolgendo la metodica di controllo preventivo e successivo da parte della GdF.

Ovviamente desidero essere sintetico ma ritengo già esaustivo il parallelo che la sentenza opera (ripresa successivamente dalla sentenza del GUP presso il tribunale di Lucca del 4.4.2014) fra dimensione ed estensione dell’agro coltivato imprenditorialmente e degli spazi coltivati domesticamente (terrazzi o scantinati) e tipologia dell’organizzazione utilizzata – che nei casi usualmente giudicati – appare assai rudimentale.

Dunque quella che viene perseguita in modo ridondante dalle ff.oo. non è tecnicamente assimilabile alla vera coltivazione (fatte salve ipotesi in cui il numero delle piante sia obiettivamente ed evidentemente notevole). È dunque necessario soffermarci e ragionare su di un nuovo concetto di coltivazione punibile e, in attesa di sviluppi legislativi, trovare un punto di equilibrio giurisprudenziale che superi i preconcetti e che fotografi correttamente la effettiva offensività di una condotta, allo stato penalmente sopravvalutata.



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