Rifiuti: da emergenza a business per la criminalità organizzata
Continuiamo a fare campagne di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata e il minor uso di plastiche, eppure queste campagne non si soffermano mai su quello che è il cardine su cui ruota realmente la questione. I rifiuti sono un business delle mafie e noi siamo vent’anni in ritardo sugli altri paesi, continuiamo a inquinare a livelli altissimi il nostro Paese unicamente per un interesse: quello della criminalità. Possiamo raccogliere bottiglie, tappi e vetri finché ci pare, ma se non cambiano queste dinamiche e questi interessi, il nostro impegno per la differenziata e un minor consumo di inquinanti sarà solo un granello di sabbia in un uragano.
Meno di due mesi fa sono state confermate le analisi per la Resit di Giugliano, la più grande e la più nota discarica di rifiuti tossici nella già devastata Terra dei fuochi. I consulenti che se ne sono occupati affermano che risulta ormai accertato che la contaminazione è in atto ed è aumentata progressivamente nel tempo. In poco tempo, anche a causa del mancato completamento della messa in sicurezza nell’area, l’inquinamento ha raggiunto la falda acquifera, il che segna un punto di non ritorno e in generale dovrebbe dar luogo all’evacuazione dell’intera area visto che gli acquedotti locali non sono in grado di purificare quest’acqua e l’acqua è essenziale per vivere.
Sentiamo declamare notizie compiaciute per i vent’anni di carcere per il boss dei Casalesi Francesco Bidognetti e per l’imprenditore dei rifiuti Cipriano Chianese, ma tendiamo a ignorare che ne hanno presi molti di più, in termini di salute, le persone che quei luoghi ci abitano, coltivano quella terra, ne mangiano i prodotti e soprattutto ne bevono l’acqua. Quella che è a tutti gli effetti una strage è stata liquidata con solo vent’anni a due persone che, con tutti gli sconti di pena e il fatto che gli anni di carcere sono fatti di 9 mesi e non di 12, ne passeranno rinchiusi non più di dieci. Dieci anni per migliaia di persone a rischio potenziale di cancro e leucemie, che in molti casi ci dovranno convivere per anni o lasciare questo mondo prima del tempo. La Resit è un esempio di disastri e devastazioni ambientali connessi alle mafie dei rifiuti che ormai non si contano.
Discariche abusive, aziende che trattano i rifiuti senza seguire le norme di smaltimento, incendi provvidenziali alle strutture prima che gli enti preposti facciano una verifica. O, ancora meglio, un business per le mafie che si triplica in questo modo: discarica abusiva per raccogliere i rifiuti delle industrie, incendio della discarica per liberarsi dei rifiuti, appalto accaparrato per la bonifica della suddetta zona inquinata. Un mostro enorme che stende i suoi tentacoli su tutto. E noi a casa a fare la raccolta differenziata dei tappi qui, le bottiglie là, i cartoni dall’altra parte.
Se poi qualcuno pensa che il problema mafia e rifiuti sia circoscritto a un unico territorio, che tanto basta stare al nord per liberarsene, si sbaglia. Da nord a sud, gli incendi di stabilimenti o aree di stoccaggio si verificano con una costanza preoccupante, a Milano e nel pavese si bruciano tonnellate di rifiuti provenienti dal sud, indifferenziati, e si procede all’incendio dell’area in prossimità di un’ispezione. Di questi disastri, ne sentiamo parlare a sprazzi e li possiamo anche ignorare del tutto, ci possiamo sentire bravi, santificati e beati, attivi perché noi separiamo la bottiglia di plastica dal suo tappo. Eppure, è anche per la nostra ignoranza o incapacità di guardare dritto al problema che le mafie dei rifiuti prolificano e si arricchiscono. Ricordo una decina di anni fa quanti sindaci del pavese si erano schierati a favore della costruzione di nove inceneritori perché avrebbero “portato lavoro”. Il lavoro sono poche decine di operai impiegati in quei mostri che ora stanno intossicando tutta la provincia, una provincia dove ormai si conta almeno un caso di cancro per nucleo familiare. Eppure al tempo, quando parlavamo di cosa c’era dietro queste speculazioni, venivamo zittiti dal mantra del «portano lavoro», «portano indotto» e il migliore di tutti: «da qualche parte i rifiuti devono andare per essere smaltiti, quindi meglio guadagnarci qui». Ho lasciato quella provincia con la stanchezza di tanti discorsi e tante lotte, ma il panorama continua ad essere lo stesso e in qualche caso peggiore. Tempo fa una giornalista televisiva mi diceva che l’inquinamento non fa notizia e che i telespettatori non gradiscono essere disturbati con notizie così brutte se non ci sono di mezzo morti e feriti, occasione in cui si sviluppa invece l’interesse morboso e il sollievo di essere lontani da quelle zone. Quindi, chi è la mafia? Noi che ci disinteressiamo o quella che ci guadagna? A volte non sappiamo nemmeno che questi disastri avvengono perché, appunto, non gradiamo essere disturbati da notizie negative all’ora di pranzo. Preferiamo sapere cosa fa Belen in spiaggia o se la nostra squadra del cuore ha passato il turno. Se ci piove in testa diossina e beviamo metalli pesanti, non è un gran problema. Quindi, ancora, chi è la mafia? Chi è omertoso, solo quelli che non testimoniano ai processi o magari anche noi?
Tutti conosciamo vagamente i territori campani vessati, ma quando a Venezia una chiatta piena di rifiuti ingombranti tossici prende fuoco nel porto, pochi lo vengono a sapere. E certamente pochi potranno dire di ricordarsi dell’incendio di rifiuti industriali di un anno fa alla Sidermetal, nel palermitano, o alla Ecofarma, nella stessa zona, un’azienda che tratta rifiuti ospedalieri. A Villa Di Briano bruciò una discarica di 300mila metri quadrati, ne avete sentito parlare senza vivere a Villa Di Briano e dintorni? Tra l’altro, è un comune più volte sciolto per infiltrazioni camorristiche. In provincia di Messina una discarica sequestrata dal 2014 lo scorso anno ha preso fuoco più volte. A quanto pare, ha continuato a raccogliere rifiuti tossici nonostante il sequestro.
La lista è infinita. Tra sospettati o processati e mafie vere e proprie, i rifiuti e la loro gestione sono una devastazione per immensi territori della nostra nazione. Una devastazione diretta, fatta di tumori e altre patologie connesse all’inquinamento, e una indiretta, che è l’impoverimento economico del territorio. Nonostante l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno abbia scritto che il cibo prodotto in Campania non era contaminato, dalla Terra dei Fuochi numerosi gruppi industriali sono scappati, a partire da Findus e Orogel. E numerose bottiglie di conserve di pomodoro oggi ci tranquillizzano sulla provenienza “nordica” dei pomodori.
Siamo vittime di questo sistema, ma siamo anche partecipi. Siamo mafiosi anche noi. Ecologia e decrescita suonano spesso come concetti nobili ma difficili, oppure stili di vita che non ci riguardano, perché noi siamo già quelli bravi, quelli che comprano bio e separano i tappi di plastica dalle bottiglie di plastica. La prigione, l’esercito che presidia le zone, le indagini dei magistrati… Tutti questi interventi si occupano di un problema che continuerà ad esistere e ad ingrassare i portafogli delle mafie, poiché noi, i cittadini, ogni giorno generiamo nuovi rifiuti, quasi senza rendercene conto. La voracità consumistica delle persone è decisamente fuori controllo e parlare di decrescita inizia a sembrare come un urlo nel vuoto mentre milioni di cittadini escono dai supermercati con i loro carrelli enormi pieni di packaging di plastica che finirà diretto nella discarica, mentre gli arriva direttamente in tavola l’inquinamento causato da queste scelte.
Praticare il no-waste, nessuno spreco, è materia di pochissimi. Siamo accidenti casuali in un mare di comodità inquinanti, dal pannolino usa e getta alle monoporzioni di plastica dei biscotti. La decrescita è anche questo. È la contrapposizione alla crescita smisurata, che nei fatti è l’impoverimento del nostro territorio. Lo consumiamo per produrre senza freno e lo massacriamo rigettando lo scarto del nostro consumo, i percolati, i residui delle lavorazioni del petrolio, i liquidi tossici delle batterie che vengono versati nel terreno dopo aver preso il piombo da rivendere per poche migliaia di euro a tonnellata.
Le terre dei fuochi italiane – e non solo italiane visto che le mafie esportano immondizia anche all’estero – sono almeno in parte una causa del nostro finto benessere composto da oggetti da possedere e cambiare secondo le mode, cibi confezionati, oggetti tecnologici che ci sentiamo obbligati ad aggiornare costantemente sebbene non ce ne sia nessuna necessità reale. Serge Latouche scandalizzò molti dicendo che vedeva nel disastro di Chernobyl anche una componente pedagogica per i popoli, visto che in seguito a quei fatti alcune nazioni decisero di abbandonare progressivamente il nucleare e altri, come l’Italia, di non introdurlo nemmeno. Allora forse quello che possiamo fare è smetterla di essere mafiosi e guardare bene al problema: la rovina dei nostri territori e delle persone che li abitano avviene a causa del massiccio inquinamento che stiamo producendo e solo in seconda istanza a causa delle mafie che lo gestiscono. Se non lo producessimo, non ci sarebbe nulla da gestire. Possiamo, per esempio, decidere di non alimentare un business criminale che maneggia i rifiuti che produciamo quotidianamente. Non possiamo certo abbandonarli tutti, ma possiamo rivedere le nostre abitudini, le cose che siamo in grado di autoprodurre e quelle che davvero ci servono. Una fetta di pane e marmellata fatti in casa non producono inquinamento da buttare in discarica, una merendina sì.
Una merendina alimenta il business mafioso delle discariche. Pensiamoci al prossimo involucro di plastica che compriamo e buttiamo. Meno spazzatura, meno business mafioso dei rifiuti. È anche così che si combatte la mafia, in silenzio, da casa propria.