Riciclaggio
Eccoci Fratelli… mi stavo chiedendo se quando Voi mi leggerete l’annosa vicenda dei rifiuti avrà ancora l’onore delle prime pagine o se qualche altra emergenza l’avrà soppiantata dall’olimpo della cronaca; me lo chiedevo in relazione a quell’analogia che vuole i reclusi nelle carceri come “rifiuto” della società. Il carcere come “cassonetto” per gli scarti del consorzio civile; i “diversi”, i “difettati”, i criminali; quelli che non possono stare “tra noi”, o meglio “tra loro” fratelli, perché confido che un briciolo di lume risieda nei vostri cervici. Un cassonetto da posizionare al di fuori dai perimetri urbani e da chiudere ermeticamente in modo che nulla ne possa uscire e di conseguenza nulla, nemmeno il buon senso vi possa entrare.
In una società con il problema dei rifiuti solidi urbani che ormai cominciano ad arrivarci fin sotto il naso, per gli scarti umani non si riesce a prevedere una forma di “riciclaggio” che permetta di riutilizzare quanto di buono v’è nei “reietti” ma ci si ferma al mero ed immediato profitto che può derivare dalla gestione feudale di quei luoghi in cui vengono reclusi; Cazzo! non ci posso credere, l’emendamento della pena affidato in toto alle fauci di quel cane sterile che è il carcere, un cane sterile di fronte al quale tutti rimangono a bocca asciutta, sia coloro che cercano ravvedimento, sia quelli che preferiscono la forca.
Mi sono incazzato Fratelli scrivendo questo quattro righe, mi è salita quell’incazzatura che mi sale solo davanti ad un’ignoranza che so di non poter scalfire perché ormai incancrenita in abitudini consolidate che rendono vani anche gli sforzi di quei rari illuminati che percorrono altre strade. Credo che dovremmo cominciare a preoccuparci dell’effetto deflagrante che potrebbero avere i rifiuti sulla società civile, sia quelli umani che quelli urbani; credo che i tempi in cui i cassonetti tappati ermeticamente permettevano di dormire sonni tranquilli stiano volgendo al termine, i “rifiuti” sono sempre di più; esportiamo quelli urbani nei paesi poveri, che a loro volta ci ringraziano e giustamente ci ripagano con quell’umanità che molti chiamano rifiuto, ma che rifiuto non è e che da qualche anno preme ai “confini dell’impero”. Au revoir