Referendum: ricordiamoci contro chi combattiamo
Il quesito referendario poteva essere più preciso, ma avrebbe potuto lo stesso essere dichiarato ammissibile. È l’opinione dell’avvocato Zaina, che sottolinea di non dimenticare contro chi stiamo combattendo questa battaglia
La Corte Costituzionale si è espressa in linea con le precedenti decisioni nelle quali aveva rifiutato di accusare di incostituzionalità le norme sulla coltivazione. Non dimentichiamo che già nel 1995 e nel 2016 la Corte aveva respinto delle questioni che erano state mandate al suo esame. Non bisogna nemmeno dimenticare che la relatrice che aveva affermato la costituzionalità delle norme che sanciscono la punibilità della coltivazione era l’attuale ministro della Giustizia, la dottoressa Marta Cartabia.
Questo per sottolineare che si tratta di un ambiente poco incline a favorire una apertura e perché è importante, in ogni battaglia, sapere contro chi si combatte.
L’altro punto che va sottolineato è che la norma sulla quale si voleva intervenire, come sottolineato da diversi costituzionalisti, è scritta male e allora è chiaro che una norma scritta male può condizionare il quesito che si va a esporre.
Però credo ci sia un problema di metodo anche nel movimento antiproibizionista e mi permetto di fare una critica, visto che sono fuori da qualsiasi associazione, non ho mire politiche e credo di poter parlare da un osservatorio privilegiato.
Forse, e mi ci metto anche io, abbiamo avuto tutti troppa sicumera che il referendum sarebbe passato. Questo ha tradito la convinzione di aver fatto una cosa meravigliosa, raccogliendo talmente tante firme da creare una situazione di intangibilità sul quesito, che forse poteva essere specificato meglio. Certo, naturalmente è facile parlare a posteriori, però, rileggendolo bene, si sarebbe potuto essere più precisi, anche perché nel frattempo era stato eletto come presidente Giuliano Amato, che probabilmente non aspettava altro che una imperfezione per poter dire poi le cose che ha detto. Non chiedeva di meglio che fare il “bacchettatore” e primo della classe dando degli incompetenti a tutti gli altri.
Detto questo il quesito avrebbe potuto essere ammesso, è evidente, e una Corte orientata in un altro modo l’avrebbe fatto. Dall’altro lato è solo in Italia che abbiamo tutte queste tagliole che vengono poste all’istituto referendario.
A livello politico il Parlamento continua a disinteressarsi della questione, tolti i parlamentari che storicamente appoggiano questa battaglia, dalla sinistra non si è alzata nemmeno una voce, quindi io credo che sia un momento di grande difficoltà. Perché il rischio è che la ricaduta, a cascata, colpisca tutti. È una situazione grave che ci rimanda in pieno Medioevo e che rischia di squilibrare anche i rapporti di forza all’interno dei tribunali.
Vi racconto un aneddoto. È venuto da me un ragazzo che ha un processo in un tribunale nel nord Italia per coltivazione di cannabis. Il suo avvocato voleva farlo patteggiare a tutti i costi e lui non voleva. E questo avvocato ha tranciato le sue speranze di essere assolto dicendogli che non c’è possibilità perché non hanno nemmeno ammesso il referendum. Se un avvocato ragiona in questi termini, immagino le forze dell’ordine, con il rischio che la repressione diventi ancora più pesante.