Raphael Mechoulam se n’è andato, ma il suo lascito è per sempre
Il celeberrimo professor Mechoulam ci ha lasciati a marzo, all'età di 92 anni
Raphael Mechoulam è conosciuto dai più per aver scoperto per primo il THC, il componente principe della cannabis. Ma il contributo che il professore nato a Sofia in Bulgaria nel 1930 e trasferitosi in Israele nel 1949 ha dato alla scienza e a tutta l’umanità, va ben oltre questa scoperta e abbraccia temi che arrivano fino ad una concezione completamente nuova della medicina.
A 92 anni suonati era ancora dedito alla ricerca con il suo team dell’Università di Gerusalemme, e la notizia della sua scomparsa il 9 marzo del 2023 è arrivata come una doccia fredda. Ora i ricercatori di tutto il mondo avranno la possibilità e la responsabilità di approfondire ed espandere la ricerca sulla cannabis e i suoi composti, mentre lui, come mi aveva detto in un’intervista di qualche anno fa sarà “seduto da qualche parte ad osservare dall’alto ciò che succede”.
LA RICERCA SULLA CANNABIS VISTA DA RAPHAEL MECHOULAM
Secondo il professore la ricerca sulla cannabis ha attraversato, negli anni, 3 diverse fasi. La prima è stata quella della ricerca sui cannabinoidi, inaugurata con l’identificazione del CBD nel 1963 e la scoperta del THC nel 1964. La seconda fase si apre con la scoperta fondamentale del Sistema endocannabinoide, che segue quella del primo cannabinoide endogeno, chiamato dal professore Anandamide, che in sanscrito significa gioia, “perché quando abbiamo scoperto questo cannabinoide pensavamo che il sistema cannabinoide endogeno avesse a che fare con i sentimenti e la felicità, e lo chiamammo così”. La terza fase, “riguarda i composti che noi produciamo (i cannabinoidi endogeni, ndr) che hanno una struttura simile all’anandamide: sono circa 120 ed alcuni di questi possono essere molto importanti”.
Lo studio continuo del professore l’ha infine portato ad una nuova concezione della medicina, che lui ha spiegato così: “Il corpo combatte la maggior parte delle patologie che ci affliggono, quindi se guardiamo alle malattie che ci colpiscono oggi, dovremmo osservare il meccanismo con cui il nostro corpo le combatte. Alcuni pensano che siano un nuovo sistema di intendere la medicina, molto importante, ma ci sono anche altri sistemi: noi siamo qui per scoprire continuamente nuovi modi per combattere ciò che succede”.
LE SCOPERTE DI MECHOULAM SULLA CANNABIS
In tutti questi anni, Rapahel Mechoulam è stato il protagonista di una serie di scoperte i cui risvolti non sono stati ben compresi nemmeno oggi. Il CBD, molecola che oggi è al centro delle discussioni e degli studi scientifici, oltre che in centinaia di prodotti che spaziano da qualli farmacuetici per arrivare a quelli cosmetici e alimentari, è arrivato alla ribalta dopo alcuni studi moderni che ne certificano le capacità antiepilettiche, che hanno portato alla creazione di un farmaco che contiene quasi eslcusivamente questa molecola. Il problema è che le potenzialità antiepilettiche del CBD erano state scoperte con uno studio scientifico guidato proprio da Mechoulam nel 1980 (con altri studi in tema pubblicati nel 1975 e nel 1982). “Oggi, più di 30 anni dopo, alcune persone sono tornate a guardare con interesse a quella ricerca e io sono frustrato per il fatto che per tutto questo tempo avevamo mostrato come il CBD fosse efficace contro l’epilessia nei pazienti, ma non importava a nessuno”, era stato il suo amaro commento.
La stessa amarezza che emerge per la sua scoperta dell’effetto entourage: “Sono frustrato anche per questa cosa perché abbiamo pubblicato studi scientifici sull’effetto entourage circa 20 anni fa dimostrando che composti che di per sé non hanno attività farmacologica, modificano gli effetti e l’attività dei cannabinoidi”. O per la scoperta dei cannabinoidi endogeni: “Quando il CBD viene dato ad un paziente si alzano i livelli di anandamide e questo è uno dei motivi per cui ad esempio il CBD funziona per l’epilessia o contro la schizofrenia, ma nessuno la sta somministrando e quindi viene dato il CBD con il fine di alzare i livelli di anandamide: non è il modo di fare le cose. Nessun endocannabinoide, nemmeno il 2-AG, è mi stato somministrato ad un umano dalla loro scoperta: questo è il progresso della medicina. Una bella cosa, no?”, disse sempre in quell’intervista del 2017.
Nel 2020 è arrivata un delle ultime scoperte guidate dal professore, quella del estere metilico dell’acido cannabidiolico (EPM301), cannabinoide sintetico in forma acida: è un nuovo composto brevettato (molecola cannabinoide sintetica a base di acidi completamente stabili) creato in collaborazione con EPM, una società biotecnologica con sede negli Stati Uniti.
“In origine c’è un acido che appare nella pianta, e questi acidi sono questi misteriosi mondi di composti che sono molto più potenti dei cannabinoidi”, aveva sottolineato. Il problema dei cannabinoidi in forma acida è che sono instabili, e quindi inutili nello sviluppo di farmaci. Fino ad ora, perché la scoperta di Mechoulam nasce dallo sviluppo di un metodo che permette di modificare i cannabinoidi acidi in modo da mantenerli abbastanza stabili da permetterne l’uso su larga scala. Questo apre la porta a ulteriori esperimenti farmaceutici, ha spiegato il professore.
Dopo aver stabilizzato l’EPM301 ne hanno analizzato l’attività, per scoprire che “causa la soppressione dell’ansia e la soppressione della nausea“, aggiungendo che questo potrebbe fare un’enorme differenza nei pazienti affetti da cancro in chemioterapia, così come nei pazienti con IBD (malattia infiammatoria intestinale) o psoriasi. Secondo il professore il cannabinoide sintetico in forma acida è molto più potente del CBD o del THC e non ha effetti collaterali negativi noti.
L’EREDITÀ CHE LASCIA IL PROFESSORE
Rapahel Mechoulam è stato uno studioso immenso, impossibile da raccontare in poche righe, che ha anticipato alcuni dei temi fondamentali, e non solo sulla cannabis, ora al centro della ricerca scientifica. Un uomo piccolo di statura, ma dal profilo intellettuale e umano smisurato che, se avesse scelto qualsiasi altro argomento come perno della propria ricerca, avrebbe sicuramente vinto il premio Nobel, oltre a tutti i riconoscimenti ricevuti. Non c’è stato il tempo perché la comunità scientifica globale si ravvedesse di questa colpevole mancanza, che dice molto ancora oggi della considerazione della cannabis e di chi ci lavora. Ma lui, che in un’intervista aveva sottolineato che “l’establishment medico è conservatore e fino a che i cannabinoidi non saranno stati sottoposti a studi clinici moderni dubito che vedremo la loro accettazione generale”, lo sapeva bene e non se ne lamentava: un’attitudine che solo i grandi nella storia hanno avuto, quella di andare avanti, nonostante tutto e tutti, forte della propria consapevolezza e delle conoscenze che ha cercato di trasmettere; conoscenze che non potremo mai dimenticare, e che andremo avanti a raccontare.