Rap marziale

La connessione tra le due discipline è immediata e tangibile sin dai primi bagliori del rap come portavoce di una cultura musicale ed artistica. Così come le arti marziali, anche nell’Hip Hop c’era la necessità, agli inizi, di seguire un maestro, un “mentore”, che ti guidasse nelle varie sfaccettature di tale cultura. Nel libro-masterpiece sulla breakdance, “Foundation” di Joseph G. Schloss, si scrive che gran parte della ricerca tecnica e stilistica dei b-boys provenga dalle arti orientali e che molti rapper vedevano con attenzione religiosa i film sulle arti marziali, che narravano di uomini che si scagliavano contro un’organizzazione ed uno stato ingiusto. Dunque, inevitabilmente, le discipline marziali e l’Hip Hop si sono intrecciati costantemente, lasciando testimonianze potenti.
Se pensi al rap e alle arti marziali, il primo nome che verrà in mente sarà sempre Wu Tang Clan: il supergruppo di Staten Island ha ereditato dall’Oriente il nome (dal film “Shaolin e Wu Tang”), gran parte dell’immaginario, dei campioni utilizzati e alcuni album (“Enter the Wu Tang – 36 Chambers” riprende uno storico film de 1978, “The 36th Chambers of Shaolin”). Non solo in crew, ma anche in solitaria: “Liquid Swords” è l’album-capolavoro di Gza incentrato sul tema delle arti marziali, mentre il socio Rza ha firmato la colonna sonora di Ghost Dog e diretto The Man with the Iron Fists, film del 2012 con Russel Crowe e Lucy Liu.
Numerose sono le discipline decantate dai rapper nella storia: Afu-Ra, mc membro della Gangstarr Foundation, ha imperniato le sue liriche sul taekwondo, scrivendo, tra l’altro, che “le arti marziali, lo yoga e la meditazione mi hanno aiutato a diventare un artista, un padre ed una persona migliore”. Busta Rhymes ha performato in diretta tv un incontro di MMA, mentre nel video di “Ya Playing Yourself” di Jeru the Damaja si fa ampio ricorso al kung fu. Infine, anche Notorious B.I.G. non è stato da meno, rappando “I got styles like karate”. In ultimo Kendrick Lamar, il rapper più influente degli ultimi anni, si è detto notevolmente influenzato dalle arti marziali, ha introdotto il nuovo moniker “Kung Fu Kenny” e ha inscenato, sul palco del Coachella, un’esibizione in stile orientale.
Seppure in misura molto minore, anche in Italia il rap è stato influenzato dalle arti marziali e dall’immaginario orientale. I Club Dogo, ad esempio, hanno infarcito i primi progetti di citazioni orientali (lo stesso “Mi Fist” deriva da “Tokyo Fist” di Tsukamoto) e sono appassionati di Muay thai. Inoki ha intitolato il suo disco d’esordio “5° Dan”, ereditando dal compianto socio Joe Cassano la passione per il contatto fisico: quest’ultimo, infatti, era un performer di karate e kickboxing e ha riempito le sue barre di montanti e ganci. La più alta testimonianza sul tema rimane, però, “La Trilogia del Tatami”, il brano di Melma & Merda in cui Sean, Kaos e Deda si alternano al microfono cantando, rispettivamente, le strategie, le sconfitte e le vittorie. Un brano epocale, liberamente ispirato all’eterno “L’arte della guerra” di Sun Tzu e tuttora il punto più alto della connessione tra rap e arti marziali in Italia.
